La donna che vuol salvare il suo villaggio: è l'unica abitante
Ula Tirso, Isabella Flore è decisa a non fare morire Santa Chiara. L’Enel non risponde
ULA TIRSO. Con sé oltre agli 88 anni Isabella Flore porta un po’ di acciacchi e qualche problema di salute. L’età del resto ha il suo peso e poco tempo fa ha anche subito un delicato intervento chirurgico per l’applicazione di un pacemaker. Tutto ciò non le ha fatto perdere la voglia di lottare. E poco importa che sia sola, visto che dal 1986 vive nel villaggio di Santa Chiara, dove, dal 1997, è rimasta l’unica abitante.
«Sono di Busachi – dice Isabella – ma, a parte alcuni anni vissuti nella penisola, il resto della mia vita si è svolto qui. I miei genitori erano arrivati a Santa Chiara perché mio padre lavorava alla costruzione della diga. Prima nel villaggio c’era tanta gente – ricorda –, poi con l’entrata in funzione del nuovo invaso se ne sono andati tutti. Ma io sono rimasta, e non ho nessuna intenzione di lasciare la mia casa per andare da un’altra parte. Qui c’è la mia storia, la mia vita, le mie cose e tutti i miei ricordi. E qui voglio rimanere».
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Le brillano gli occhi mentre parla di un mondo lontano, quello che ha conosciuto quando era appena una ragazza, con la consapevolezza che quel mondo ormai fa parte di un passato che non tornerà. Ma lei a quel passato è legata visceralmente da un cordone ombelicale impossibile da recidere, perché si tratta di quello che unisce una madre alla sua creatura. Questo è un altro dei motivi per cui Isabella Flore non si vuole staccare dal villaggio, ormai fantasma.
«Qui è nata mia figlia Rita – dice –. Era una bambina bellissima, ma quando aveva tre anni si è ammalata e purtroppo non si è mai più ripresa. A Rita ho intitolato il museo della diga che ospita molti documenti risalenti all’epoca in cui la diga è stata realizzata, e molto altro. Si tratta di un patrimonio che non deve andare perduto perché fa parte della memoria storica di questo territorio, balzato alla ribalta delle cronache mondiali per un’opera considerata, in quegli anni, di altissima ingegneria». Nelle stanze si possono vedere attrezzi da lavoro, fotografie scattate durante i lavori iniziati un secolo fa coi due ingegneri che avevano progettato l’opera: Angelo Omodeo da cui prese nome il lago artificiale più grande d’Europa e Giulio Dolcetta. Ma ci sono anche documenti e pagine di giornali risalenti a quegli anni, pregevoli costumi sardi femminili e tanto altro materiale che riporta al passato.
A 88 anni Isabella Flore ha due grandi sogni: scrivere un libro che racconti la sua vita e avere dall’Enel, in comodato d’uso, il villaggio per farne un centro di accoglienza per donne e minori abusati. «Per questa finalità ho perfino creato una Onlus – dice –. I documenti relativi alla richiesta sono stati inviati all’Enel tempo fa, ma finora non è arrivata risposta». La volitiva abitante del villaggio non riesce ad accettare l’idea che le case continuino a subire l’ingiuria del tempo. Quasi quotidianamente le vede sbriciolarsi a causa dell’incuria e dell’abbandono. Lei vorrebbe recuperarle per destinarle a una finalità nobile: aiutare chi ha subito violenze a ricostruirsi una vita e a recuperare fiducia nel genere umano. E alla realizzazione del suo obiettivo dedica tutte le forze che le sono rimaste. Ma da sola è difficile e allora chiede aiuto a chiunque sia disposto a darle una mano. Chissà se qualcuno raccoglierà la sua richiesta.