Uno 007 sardo di Gladio rivela: Estermann era «Werder» la spia della Stasi in Vaticano
Piero Mannironi
20 novembre 2011
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SASSARI. Muguette Baudat è una donna forte e ostinata. Lei, svizzera vallese di Monthey, è la madre del vicecaporale delle Guardie svizzere Cédric Tornay, 23 anni, per la giustizia vaticana morto suicida la sera del 4 maggio 1998, dopo avere assassinato il suo comandante, il colonnello Alois Estermann e la moglie Gladys Meza Romero, funzionaria dell'ambasciata venezuelana alla Santa Sede. Muguette Baudat non ha mai creduto alla traballante versione ufficiale, confezionata e archiviata in appena 48 ore: un raptus di follia del figlio, forse esasperato per non aver ricevuto dal suo comandante un attestato di merito per il suo servizio. Crede invece che il figlio sia stato ucciso insieme a Estermann e alla moglie. Per questo motivo, attraverso due principi del foro francesi, Jacques Vergés e Luc Brossellet, ha scritto una «lettera aperta» a Papa Benedetto XVI per chiedere copia del dossier. Una richiesta che prelude alla formale istanza per riaprire il caso. Una prima domanda di riapertura dell'inchiesta era stata respinta nel 2002 dal giudice istruttore Marrone. Segreti inconfessabili. Riaffiora così dalle nebbie del passato una strage intorno alla quale si intuiscono le ombre di segreti indicibili e di intrighi internazionali: dall'attentato a Giovanni Paolo II, al sequestro di Emanuela Orlandi fino ai finanziamenti segreti dello Ior e del Banco Ambrosiano al sindacato polacco Solidarnosc di Lech Walesa. Secondo l'ex giudice e parlamentare Ferdinando Imposimato - che negli ultimi anni ha condotto una meticolosa inchiesta sul caso - un contributo importante per far emergere la verità potrebbe arrivare da un sardo. Si tratta di Antonino Arconte, di Cabras, nome in codice G.71, superagente della struttura segreta Gladio, che incontrò Estermann nel marzo '98, poche settimane prima della sua morte. Figura enigmatica, quella di Estermann. Uomo dell'Opus Dei, secondo alcune rivelazioni giornalistiche era dal 1980 un agente della Stasi, il potente servizio segreto della Germania Orientale, guidato da Markus "Misha" Wolf, l'uomo senza volto. Due giorni dopo la strage in Vaticano, il quotidiano tedesco Berliner Kurier scrisse che Estermann era la famosa spia della Stasi infiltrata nella Santa Sede, conosciuta con il nome in codice "Werder". Il Vaticano smentì, ma il 9 maggio 1998 Johan Legner, portavoce della Gauck Behoerde (l'ufficio incaricato dal governo federale tedesco di analizzare e catalogare i documenti contenuti negli archivi della Stasi), disse all'inviata di Repubblica Vanna Vannuccini: «Tutto ciò che è stato riferito ai giornalisti del Berliner Kurier è "deckungsgleich", cioè assolutamente identico a quanto contenuto nelle carte della Stasi. I minimi dettagli tornano tutti». C'è poi un fatto oggettivo, insuperabile, che smentisce clamorosamente la versione ufficiale sulla strage fornita dal Vaticano. Si tratta dei risultati dell'autopsia effettuata, su richiesta della madre, sul corpo del vicecaporale Cédric Tornay: è impossibile che la giovane guardia svizzera si sia suicidata con la pistola di ordinanza trovatagli in mano, dopo avere ucciso Estermann e la moglie Gladys Meza Romero. E questo per il semplice fatto che la pistola era una "Sig Sauer" calibro 9,41 e il proiettile che uccise Tornay era invece un calibro 7. Insomma, la strage era una montatura per depistare eventuali indagini sull'omicidio di Alois Estermann. Un uomo che sapeva troppo. Come ha detto Imposimato, la conferma che il comandante delle Guardie svizzere fosse la spia della Stasi "Werder" è arrivata dall'agente di Gladio Nino Arconte. Arconte ne parlò nel suo libro l'Ultima Missione e, due anni fa, ha rivelato nuovi particolari di quell'incontro all'ex giudice Imposimato e al giornalista Sandro Provvisionato. Oggi Arconte conferma tutto. Dice che tra la fine del '97 e l'inizio del '98 sulla sua posta elettronica era giunta un'email scritta in tedesco. Il contatto era stato stabilito da un certo "Werder". Ma ecco cosa racconta l'agente G.71: «"Werder" mi scrisse che si era imbattuto nel mio sito internet, nel quale raccontavo la mia esperienza di "gladiatore" ai tempi del sequestro Moro. Ma parlavo anche di altre storie, tra cui anche quella dell'attentato al Papa. Il sito era online da pochi mesi, ma aveva avuto oltre centomila contatti. "Werder" mi precisò che avrebbe potuto essermi utile come testimone riguardo alla vicenda dell'attentato a Papa Wojtyla. Mi disse pure di sentirsi in pericolo perché sapeva cose pericolose su gente molto potente e avrebbe voluto sparire. Ma per farlo gli servivano una nuova identità e una sistemazione negli Stati Uniti. Scrisse dell'America perché aveva letto che era mia intenzione - e di altri che come me avevano subito persecuzioni in Italia - di espatriare negli Stati Uniti». L'incontro a Civitavecchia. «Mi chiese un appuntamento perché di certe cose bisognava "parlare di persona e in un luogo sicuro". Concordammo di vederci alla stazione marittima di Civitavecchia. Non ricordo la data esatta dell'incontro, ma la colloco negli ultimi giorni del marzo 1998. Io partii assieme al mio amico Franz, anche lui un "gladiatore". Ci mettemmo d'accordo, sempre via email, che io mi sarei fatto riconoscere tenendo in mano un giornale arrotolato». Nino Arconte, accompagnato dal suo amico Franz, incontrò "Werder" nel porto di Civitavecchia. Da lì presero il treno che collega lo scalo alla stazione ferroviaria, lo stesso che poi prosegue per Roma. Racconta ancora Arconte: «Mi disse che lui conosceva tutta la vicenda dell'attentato al Papa: quello di uccidere Giovanni Paolo II era stato un ordine proveniente da Mosca. L'impero sovietico stava franando e il Papa polacco andava fermato a qualunque costo. "Werder" confermò ciò che avevo scritto sul mio sito. E cioè che Agca avrebbe dovuto morire in piazza San Pietro, subito dopo avere ucciso Giovanni Paolo II. In questo modo, essendo Agca un "lupo grigio", l'attentato sarebbe stato attribuito agli estremisti islamici dell'estrema destra turca. Un piano perfetto, rovinato dallo stesso Agca, che aveva intuito qualcosa e si era tirato indietro all'ultimo momento. Pur essendo un buon tiratore, aveva infatti mancato il colpo mortale». «"Werder" mi raccontò anche che la regia dell'attentato era stata delegata dal Kgb ai servizi bulgari che avevano buoni contatti con i trafficanti turchi. Erano stati questi ultimi a individuare Agca. Il suo cadavere in piazza San Pietro sarebbe stato il miglior depistaggio sui veri mandanti dell'omcidio del Papa. Gli chiesi come mai sapesse tutto questo, ma lui fu sfuggente. Mi disse poi che aveva ricevuto minacce e che per lui tirava una brutta aria a Roma. Mi riferì che lavorava in Vaticano, senza però precisare che ruolo avesse. Mi disse solo che, per tenerlo buono, gli avevano promesso una promozione molto importante sul lavoro. E proprio questa circostanza lo aveva insospettito». Ad Arconte, "Werder" parlò anche della strage di via Fani e del rapimento Moro. Gli confermò che, anche in quel caso, c'era dietro il Kgb. Gli rivelò che i servizi segreti sovietici non apparivano mai direttamente, ma utilizzava i servizi dei paesi satellite. Continua Arconte: «Capii che mi stava lasciando intendere di essere stato un agente doppio o un infiltrato dell'Est. Considerando che di lingua madre era tedesco, mi venne spontaneo pensare che potesse essere della Stasi. "Werder" insisteva per sapere come avrei fatto a raggiungere gli Stati Uniti e se c'era un'organizzazione che avrebbe provveduto. Io rimasi sul vago, dicendogli solo che ci stavamo organizzando per darci un appuntamento ad Ajaccio, in Corsica, con altri, per poi partire assieme per gli Stati Uniti. Ci dovevamo trovare in piazza Bonaparte, nel bistrot di fronte alla statua di Napoleone, tutte le mattine all'ora di colazione, dal 4 maggio di quell'anno per una settimana. Era, lo voglio ricordare, il 1998. Poi saremmo partiti per Parigi e da lì per New York, con tutta la documentazione che ognuno poteva fornire a riprova delle persecuzioni subite in patria. Giunti alla stazione di Civitavecchia, ci salutammo e io e Franz scendemmo dal treno, mentre lui proseguì per Roma». La scoperta. Arconte non avrà più contatti con "Werder". Ma la mattina del 5 maggio 1998, mentre era ad Ajaccio, su un giornale italiano lesse della strage in Vaticano. Racconta ancora Arconte: «Quando vidi sul giornale la foto di "Werder" e lessi che era il capo della Guardia svizzera del Papa, capii anche quello che non mi aveva detto. E compresi anche perché "Werder" voleva lasciare l'Italia». Ecco dunque il sillogismo: Markus Wolf aveva detto che la sua spia tra le sacre mura leonine era "Werder" e Arconte incontrò Estermann che si presentò come "Werder"; conclusione: Estermann era "Werder", l'uomo dei servizi segreti della Ddr. Ultima considerazione: Nino Arconte è credibile? Finora nessuno ha saputo smentire le sue rivelazioni sugli anni della Guerra Fredda. C'è addirittura una sentenza del Gip di Roma del 2004 che certifica che qualcuno tentò invano di deligittimarlo e lo indica addirittura come parte offesa. Di lui Ferdinando Imposimato, che da magistrato indagò sul caso Moro e sul sequestro Orlandi, dice: «Nino Arconte è una persona di grande coraggio, testimone diretto di eventi eccezionali, che si è tentato di delegittimare, accusandolo di essere un falsario. Io sono abituato da molti anni a capire se un testimone dice il vero o il falso. Ebbene, posso dire con certezza che Arconte dice il vero. Perché la verifica è sempre e solo nei riscontri oggettivi».
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