Nei fondali di Castelsardo i segreti di una nave da guerra
Michele Spanu
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Il giallo La corvetta Gazzella della Marina Militare affondata nel golfo dell’Asinara incrociava vicinissima alla gemella Minerva rimasta indenne. A destra, su una sedia sul fondale, il diario di bordoUn’errore, o l’azzardo del comandante, nell’agosto del ’43 costò la vita a 100 uomini, oggi è meta di escursioni da brivido per sub appassionati di storia - FOTO
27 febbraio 2012
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CASTELSARDO. Agosto 1943. La corvetta C20 "Gazzella" della Regia Marina Militare viaggia al largo dell'Asinara per una delicata missione anti sommergibile. L'Italia è ancora schierata al fianco della Germania di Hitler, ma i rapporti tra i due alleati si complicano di giorno in giorno: Mussolini è stato appena arrestato, l'intero Paese è allo sbaraglio e le forze armate continuano le operazioni di guerra senza informazioni precise.
FOTO Guarda le immagini del relitto
E' in questo scenario che avviene la tragedia: mentre la nave si dirige ad est, di ritorno alla base della Maddalena da dove era partita, il secondo ufficiale commette un tragico errore di rotta e si infila in un campo minato amico. L'esplosione è inevitabile, terribile: alle 05.08 del mattino il vascello si spezza in due tronconi e cola a picco in pochi minuti, trascinando verso la morte 100 uomini dell'equipaggio. Solo due i superstiti.
A settant'anni dal disastro, il relitto del "Gazzella" riposa sempre lì, nello stesso punto dell'affondamento, adagiato a 50 metri di profondità al largo di Punta Tramontana, lo stupendo costone roccioso a metà strada tra Sorso e Castelsardo.
La carcassa si presenta in discrete condizioni, come un libro di storia con il suo carico di morte e di dolore che ha ancora molto da raccontare. La parte poppiera fino al ponte di comando è in assetto di navigazione. Eliche e timone resistono sotto lo scafo, infangati fino all'altezza del mozzo. La prua è invece più rovinata e sono ancora evidenti i segni dell'esplosione. Sul ponte, tra frangiflutti, bitte e passacavi svetta un grosso cannone, con il pivo di fuoco rivolto verso il resto dello scafo dove le stelle marine e le alghe trovano un comodo appoggio.
Il diario di bordo. C'è spazio anche per i dettagli della nave: il tagliamare, affilato, e la grossa ancora del tipo Hall. Ma la vera sorpresa sono gli accessi agli interni: una volta entrati nel ventre della nave, è possibile ammirare la stanza dell'ufficiale addetto, i due potenti motori e una bella serie di manometri. Sul fondo ancora in piedi ci sono le bombole che contenevano la CO2 per l'antincendio. Risalendo lungo la scala, non si può non notare il grosso strumento che serviva per controllare il livello di carburante nelle cisterne. Gli alloggi sono senza dubbio la parte più affascinante. Nel quadrato ufficiali è ancora possibile entrare in alcune grosse cabine con i mobili e le scrivanie, i bagni perfettamente conservati e anche la brandina all'interno della cabina del comandante dove l'ufficiale probabilmente dormiva al momento della tragedia.
Una grossa porta a vetri, ancora intatta, con la chiave infilata nella toppa, ha resistito all'affondamento e a 70 anni sott'acqua. Le cucine si raggiungono facilmente passando da una spaccatura sul lato di sinistra.
Due stufe, una grossa pentola a pressione, alcuni tegami e un grosso mestolo sono scampate alla mano di qualche pirata che ha portato via le lanterne, le luci di via e gli strumenti del ponte di comando. Ma il vero tesoro per gli appassionati di storia è ancora lì. Sopra una grossa sedia c'è il diario di bordo, in buono stato: se recuperato portato alla luce, potrebbe sicuramente dare preziose informazioni sulla tragedia.
Il ritrovamento. La scoperta della corvetta "Gazzella" avvenne grazie ai pescatori di Castelsardo che ancora oggi chiamano quella zona "la secca della nave" sulla base di coordinate tramandate sicuramente da padre in figlio fin da quella giornata dei primi di agosto 1943. I primi a immergersi sono stati i sub di un diving di Castelsardo che denunciarono giustamente il relitto alla Marina Militare come prevede la legge. Anche perché la nave "Gazzella", al momento dello scoperta, era ancora armata fino ai denti e pericolosissima: nel 2004 una unità speciale della Marina Militare si occupò della bonifica del relitto per evitare rischi. I fratelli Luca e Marco Occulto, della scuola sub "I sette mari" di Sorso conoscono da 10 anni ogni angolo del relitto e lo descrivono affascinati.
«La nostra prima immersione è stata nell'autunno del 2002 - racconta Luca -. Ricordo ancora bene l'emozione di quel momento, che si rinnova ogni volta che ci avviciniamo al relitto. Ci piacerebbe trasformare questo sito in un'attrazione non solo per noi ma per tutti i sub che vogliono vivere la storia. Ovviamente non è un percorso per tutti. Per immergersi è necessario un brevetto Tek Deco Diver 50, superiore o equivalente. Ma è un relitto che merita di essere conosciuto e non ci sembra giusto condannarlo all'oblio. Con la nostra scuola, che può contare su una rete nazionale e internazionale, possiamo fare molto in questa campagna di consapevolezza storica». Quello della corvetta "Gazzella" sicuramente è tra gli incidenti navali più misteriosi della seconda guerra mondiale. Ancora oggi non è possibile accertare l'esatta dinamica di quanto avvenuto quella mattina del 6 agosto 1943.
Il mistero. Dalle informazioni della Marina militare si sa certamente che la nave era partita dalla Maddalena assieme alla corvetta gemella C42 "Minerva" diretta a Porto Torres per una missione di caccia anti sommergibile. Al comando in quel momento era il comandante in seconda dell'unità, il quale, secondo le testimonianze di uno dei due superstiti (il comandante Arrigo Montini, classe 1912 intervistato dagli alti comandi della Marina Militare nel 2002) ha deciso volontariamente di uscire dalle rotte sicure imposte dal comando della Maddalena. Le rotte di sicurezza erano certamente più scomode rispetto alla scelta di tagliare il golfo e dirigere direttamente la nave verso La Maddalena, ma garantivano una incolumità maggiore. Forse è stata la fretta di rientrare a condurre la nave verso una fine tragica sullo sbarramento sistemato qualche giorno prima dalle posamine tedesche Pommern e Branderburg.
L'ultimo atto. Quella della nave "Gazzella" è una tragedia indicativa di quel preciso periodo storico. Gli eventi della guerra poco prima dell'armistizio erano infatti più che drammatici, molto più di quanto sembrerebbe leggendo i libri di storia: il governo ormai scomparso, il morale degli equipaggi era basso e la marina tedesca non informava più i comandi della marina italiana sulle coordinate in cui venivano posate le mine (a posarle in Italia erano posamine tedesche poiché l'Italia aveva già terminato la sua scorta).
Inoltre nell'agosto del 1943, la Germania ormai non faceva più affidamento sugli italiani (come del resto aveva fatto per tutta la durata della guerra) e per prevenire sbarchi alleati decise di minare tutte le possibili zone di sbarco alleato, tra cui il nord Sardegna.
Ma i dubbi rimangono: se la corvetta "Gazzella" è finita sul campo minato, la gemella "Minerva" che viaggiava a breve distanza come mai si è salvata? Ma soprattutto perché il comandante non avvisò l'altra nave della pericolosità della rotta scelta?
Interrogativi che sembrano destinati a rimanere sepolti per sempre dalla sabbia insieme alla nave adagiata su quel fondale in un mare bellissimo.
FOTO Guarda le immagini del relitto
E' in questo scenario che avviene la tragedia: mentre la nave si dirige ad est, di ritorno alla base della Maddalena da dove era partita, il secondo ufficiale commette un tragico errore di rotta e si infila in un campo minato amico. L'esplosione è inevitabile, terribile: alle 05.08 del mattino il vascello si spezza in due tronconi e cola a picco in pochi minuti, trascinando verso la morte 100 uomini dell'equipaggio. Solo due i superstiti.
A settant'anni dal disastro, il relitto del "Gazzella" riposa sempre lì, nello stesso punto dell'affondamento, adagiato a 50 metri di profondità al largo di Punta Tramontana, lo stupendo costone roccioso a metà strada tra Sorso e Castelsardo.
La carcassa si presenta in discrete condizioni, come un libro di storia con il suo carico di morte e di dolore che ha ancora molto da raccontare. La parte poppiera fino al ponte di comando è in assetto di navigazione. Eliche e timone resistono sotto lo scafo, infangati fino all'altezza del mozzo. La prua è invece più rovinata e sono ancora evidenti i segni dell'esplosione. Sul ponte, tra frangiflutti, bitte e passacavi svetta un grosso cannone, con il pivo di fuoco rivolto verso il resto dello scafo dove le stelle marine e le alghe trovano un comodo appoggio.
Il diario di bordo. C'è spazio anche per i dettagli della nave: il tagliamare, affilato, e la grossa ancora del tipo Hall. Ma la vera sorpresa sono gli accessi agli interni: una volta entrati nel ventre della nave, è possibile ammirare la stanza dell'ufficiale addetto, i due potenti motori e una bella serie di manometri. Sul fondo ancora in piedi ci sono le bombole che contenevano la CO2 per l'antincendio. Risalendo lungo la scala, non si può non notare il grosso strumento che serviva per controllare il livello di carburante nelle cisterne. Gli alloggi sono senza dubbio la parte più affascinante. Nel quadrato ufficiali è ancora possibile entrare in alcune grosse cabine con i mobili e le scrivanie, i bagni perfettamente conservati e anche la brandina all'interno della cabina del comandante dove l'ufficiale probabilmente dormiva al momento della tragedia.
Una grossa porta a vetri, ancora intatta, con la chiave infilata nella toppa, ha resistito all'affondamento e a 70 anni sott'acqua. Le cucine si raggiungono facilmente passando da una spaccatura sul lato di sinistra.
Due stufe, una grossa pentola a pressione, alcuni tegami e un grosso mestolo sono scampate alla mano di qualche pirata che ha portato via le lanterne, le luci di via e gli strumenti del ponte di comando. Ma il vero tesoro per gli appassionati di storia è ancora lì. Sopra una grossa sedia c'è il diario di bordo, in buono stato: se recuperato portato alla luce, potrebbe sicuramente dare preziose informazioni sulla tragedia.
Il ritrovamento. La scoperta della corvetta "Gazzella" avvenne grazie ai pescatori di Castelsardo che ancora oggi chiamano quella zona "la secca della nave" sulla base di coordinate tramandate sicuramente da padre in figlio fin da quella giornata dei primi di agosto 1943. I primi a immergersi sono stati i sub di un diving di Castelsardo che denunciarono giustamente il relitto alla Marina Militare come prevede la legge. Anche perché la nave "Gazzella", al momento dello scoperta, era ancora armata fino ai denti e pericolosissima: nel 2004 una unità speciale della Marina Militare si occupò della bonifica del relitto per evitare rischi. I fratelli Luca e Marco Occulto, della scuola sub "I sette mari" di Sorso conoscono da 10 anni ogni angolo del relitto e lo descrivono affascinati.
«La nostra prima immersione è stata nell'autunno del 2002 - racconta Luca -. Ricordo ancora bene l'emozione di quel momento, che si rinnova ogni volta che ci avviciniamo al relitto. Ci piacerebbe trasformare questo sito in un'attrazione non solo per noi ma per tutti i sub che vogliono vivere la storia. Ovviamente non è un percorso per tutti. Per immergersi è necessario un brevetto Tek Deco Diver 50, superiore o equivalente. Ma è un relitto che merita di essere conosciuto e non ci sembra giusto condannarlo all'oblio. Con la nostra scuola, che può contare su una rete nazionale e internazionale, possiamo fare molto in questa campagna di consapevolezza storica». Quello della corvetta "Gazzella" sicuramente è tra gli incidenti navali più misteriosi della seconda guerra mondiale. Ancora oggi non è possibile accertare l'esatta dinamica di quanto avvenuto quella mattina del 6 agosto 1943.
Il mistero. Dalle informazioni della Marina militare si sa certamente che la nave era partita dalla Maddalena assieme alla corvetta gemella C42 "Minerva" diretta a Porto Torres per una missione di caccia anti sommergibile. Al comando in quel momento era il comandante in seconda dell'unità, il quale, secondo le testimonianze di uno dei due superstiti (il comandante Arrigo Montini, classe 1912 intervistato dagli alti comandi della Marina Militare nel 2002) ha deciso volontariamente di uscire dalle rotte sicure imposte dal comando della Maddalena. Le rotte di sicurezza erano certamente più scomode rispetto alla scelta di tagliare il golfo e dirigere direttamente la nave verso La Maddalena, ma garantivano una incolumità maggiore. Forse è stata la fretta di rientrare a condurre la nave verso una fine tragica sullo sbarramento sistemato qualche giorno prima dalle posamine tedesche Pommern e Branderburg.
L'ultimo atto. Quella della nave "Gazzella" è una tragedia indicativa di quel preciso periodo storico. Gli eventi della guerra poco prima dell'armistizio erano infatti più che drammatici, molto più di quanto sembrerebbe leggendo i libri di storia: il governo ormai scomparso, il morale degli equipaggi era basso e la marina tedesca non informava più i comandi della marina italiana sulle coordinate in cui venivano posate le mine (a posarle in Italia erano posamine tedesche poiché l'Italia aveva già terminato la sua scorta).
Inoltre nell'agosto del 1943, la Germania ormai non faceva più affidamento sugli italiani (come del resto aveva fatto per tutta la durata della guerra) e per prevenire sbarchi alleati decise di minare tutte le possibili zone di sbarco alleato, tra cui il nord Sardegna.
Ma i dubbi rimangono: se la corvetta "Gazzella" è finita sul campo minato, la gemella "Minerva" che viaggiava a breve distanza come mai si è salvata? Ma soprattutto perché il comandante non avvisò l'altra nave della pericolosità della rotta scelta?
Interrogativi che sembrano destinati a rimanere sepolti per sempre dalla sabbia insieme alla nave adagiata su quel fondale in un mare bellissimo.