Il papà del georadar: «Troppe polemiche lascio le ricerche»
Gaetano Ranieri ha deciso di abbandonare gli scavi La soprintendenza incassa: «Rapporto diventato difficile»
CABRAS. «Non me ne importa più nulla». Probabilmente non è vero, difficile che uno studioso perda di colpo l'interesse per un argomento a cui ha dedicato anni di lavoro. A Maggior ragione se si tratta di Mont'e Prama, la collina del Sinis che ha restituito al mondo una parte significativa della storia nuragica. Vittorie e conquiste ma anche sconfitte e distruzione.
Quella raccontata da Gaetano Ranieri, professore di geofisica in pensione, è la cronaca di una convivenza difficile e di un addio inevitabile che veniva solo rimandato: «Non ritornerò a Mont’e Prama – ha detto il geofisico – ormai è una questione chiusa». I motivi dell’abbandono non sono un argomento che Ranieri affronta volentieri. Dice di essere in pensione, di aver fatto il suo lavoro e di essere pronto a nuove sfide che, quindi, non saranno legate ai segreti della collina dei giganti di pietra.
D’altra parte, quello che prima era stato indicato come l’unico uomo in grado di aprire il vaso di Pandora nascosto sotto le terre del Sinis è stato improvvisamente retrocesso a comparsa di una storia recitata in prima persona dalla Soprintendenza ai beni archeologici che, per il momento, è l’unica attrice autorizzata a stare sul palco di Mont’e Prama e a sporcarsi le mani con la terra del Sinis. Più defilate, nel ruolo di attrici non protagoniste, le università di Cagliari e Sassari che potrebbero rientrare in scena da un momento all’altro, a maggior ragione se dotate di un portafogli gonfio di euro. Perché uno dei problemi atavici del sito del Sinis è proprio la carenza di finanziamenti, nonostante la comunità scientifica abbia ormai classificato gli scavi di Mont’e Prama come una pietra miliare nella storia della civiltà nuragica e del Mediterraneo.
Qualità che non sono bastate a mettere d’accordo tutti e i rapporti difficili sono costati, ad esempio, l’allontanamento di professionisti stimati e di apparecchi capaci di rilevare 17 terabyte di dati che indicano 60mila anomalie registrare scandagliando otto ettari di terra in una zona imprecisata del Sinis.
E se all’inizio il georadar era un valore aggiunto anche per la soprintendenza, alla fine è diventato quasi uno strumento divinatorio a cui si può tranquillamente rinunciare. Come si può rinunciare al pacchetto di dati.
Il commento di Alessandro Usai, archeologo della soprintendenza e responsabile scientifico dello scavo, dopo l’abbandono annunciato da Gaetano Ranieri non assomiglia per nulla al commiato che si riserva ai compagni di lavoro: «Non ritornerà? Non mi stupisce. È stata una collaborazione che non è andata come speravamo». Stop. Qualche rimpianto, appena accennato, ma soprattutto la convinzione di poter rinunciare senza alcun problema all’occhio elettronico in grado di guardare sotto terra.
«La soprintendenza si ostina a non voler vedere il futuro – ha concluso Gaetano Ranieri – nonostante la Convenzione europea per la tutela del patrimonio archeologico firmata a Malta nel 1992 abbia chiarito la necessità di limitare gli scavi concepiti alla vecchia maniera perché considerati distruttivi». Secondo Ranieri, che quindi resterà l’unico custode delle rilevazioni che racconterebbero l’esistenza di una città e di una necropoli enorme, l’archeologia dovrebbe sfruttare le innovazioni tecnologiche. Anche quelle manovrate da chi ha la valigia pronta e stringe in mano un messaggio d’addio nemmeno troppo commosso.
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