Ospedali, in 300 contro la riforma
di Stefano Ambu
Da tutta l’isola alla manifestazione di protesta davanti al Consiglio regionale
08 settembre 2017
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CAGLIARI. La sirena che avverte dell’allarme ospedali l'hanno fatta suonare quasi in coro le ambulanze disposte davanti al Consiglio regionale nella via Roma senza auto per la pedonalizzazione partita un mese fa davanti al porto di Cagliari. Sulle fiancate dei mezzi di soccorso i nomi che rappresentano una piccola mappa della protesta: Gadoni, Tonara o Belvì, che ospedali non ne hanno, si battono ad esempio per salvare o non declassare lo storico San Camillo di Sorgono.
Insomma non solo questioni di campanile: ogni centro che ha letti e sale chirurgiche da difendere ha almeno una decina di alleati nei paesi vicini. È stato, anche ieri, il senso della protesta partita, come qualche mese fa, da piazza del Carmine con un corteo (circa 300 i partecipanti) che ha terminato la sua marcia sempre davanti al palazzo della massima assemblea sarda. Sindacati, ma anche sindaci, associazioni, pazienti e parenti dei pazienti hanno raccolto l'invito lanciato dalla Rete sarda difesa sanità pubblica per la manifestazione organizzata insieme al comitato “Salviamo l'ospedale San Marcellino di Muravera”.
Nel mirino quella riforma che, dopo il passaggio in commissione sanità, sembra sempre più vicina. Tante bandiere, cartelli, fischietti. E tanta rabbia. Come quella di Carla Lai e di altre tre donne che reggono lo striscione con la scritta verde e rossa “Giù le mani dall'Ogliastra”. Sì, perché Lanusei è una delle piccoli capitali della mobilitazione come ha dimostrato la protesta dei giorni scorsi.
«Abbiamo chiesto un ospedale di primo livello – dice Lai – e non vogliamo né contentini, né compromessi. Primo per i servizi che vengono offerti alla popolazione. Sia per la posizione: Nuoro è lontana, soprattutto d’inverno. E collegamenti molto difficili. Abbiamo reparti di eccellenza. Ma qui sembra che ci sia un disegno: stanno smantellando l'Ogliastra, così si fa un favore allo spopolamento». La posizione, sì. È lo stesso discorso del sindaco di Meana Angelo Nocco. Il punto di riferimento per i suoi compaesani è Sorgono. «Devono considerare – spiega – che siamo la zona più isolata della Sardegna. Gli altri ospedali sono troppo lontani».
Qualche chilometro più a sud c'è Isili. E c'è, vicino a Nocco, anche il sindaco Luca Pilia. «Una riforma fatta – dice – sulla base di numeri e statistiche senza tenere conto della viabilità». Per difendere l'ospedale c'è un presidio che nei mesi scorsi ha ricevuto la visita della figlia di Che Guevara. «Da noi rischia la chirurgia – spiega il sindaco –, vorrebbero utilizzare i reparti solo per interventi programmati. Hanno speso 700mila euro per le sale chirurgiche che devono essere ancora consegnate. E ora il loro destino sembra essere quello di essere sottoutilizzate». Anche i sindacati in piazza. «La politica dei tagli alla sanità – spiega Guido Sarritzu, segretario territoriale Uil Fpl – è arrivata al limite. La protesta di territori e associazioni non fa altro che evidenziare come la situazione sia allo sbando». La battaglia non è finita.
Insomma non solo questioni di campanile: ogni centro che ha letti e sale chirurgiche da difendere ha almeno una decina di alleati nei paesi vicini. È stato, anche ieri, il senso della protesta partita, come qualche mese fa, da piazza del Carmine con un corteo (circa 300 i partecipanti) che ha terminato la sua marcia sempre davanti al palazzo della massima assemblea sarda. Sindacati, ma anche sindaci, associazioni, pazienti e parenti dei pazienti hanno raccolto l'invito lanciato dalla Rete sarda difesa sanità pubblica per la manifestazione organizzata insieme al comitato “Salviamo l'ospedale San Marcellino di Muravera”.
Nel mirino quella riforma che, dopo il passaggio in commissione sanità, sembra sempre più vicina. Tante bandiere, cartelli, fischietti. E tanta rabbia. Come quella di Carla Lai e di altre tre donne che reggono lo striscione con la scritta verde e rossa “Giù le mani dall'Ogliastra”. Sì, perché Lanusei è una delle piccoli capitali della mobilitazione come ha dimostrato la protesta dei giorni scorsi.
«Abbiamo chiesto un ospedale di primo livello – dice Lai – e non vogliamo né contentini, né compromessi. Primo per i servizi che vengono offerti alla popolazione. Sia per la posizione: Nuoro è lontana, soprattutto d’inverno. E collegamenti molto difficili. Abbiamo reparti di eccellenza. Ma qui sembra che ci sia un disegno: stanno smantellando l'Ogliastra, così si fa un favore allo spopolamento». La posizione, sì. È lo stesso discorso del sindaco di Meana Angelo Nocco. Il punto di riferimento per i suoi compaesani è Sorgono. «Devono considerare – spiega – che siamo la zona più isolata della Sardegna. Gli altri ospedali sono troppo lontani».
Qualche chilometro più a sud c'è Isili. E c'è, vicino a Nocco, anche il sindaco Luca Pilia. «Una riforma fatta – dice – sulla base di numeri e statistiche senza tenere conto della viabilità». Per difendere l'ospedale c'è un presidio che nei mesi scorsi ha ricevuto la visita della figlia di Che Guevara. «Da noi rischia la chirurgia – spiega il sindaco –, vorrebbero utilizzare i reparti solo per interventi programmati. Hanno speso 700mila euro per le sale chirurgiche che devono essere ancora consegnate. E ora il loro destino sembra essere quello di essere sottoutilizzate». Anche i sindacati in piazza. «La politica dei tagli alla sanità – spiega Guido Sarritzu, segretario territoriale Uil Fpl – è arrivata al limite. La protesta di territori e associazioni non fa altro che evidenziare come la situazione sia allo sbando». La battaglia non è finita.