Lavorare la domenica, lo sfogo di Valentina: "Non posso godermi i figli"
L'accorata testimonianza di una madre lavoratrice dopo l'appello lanciato dalla Chiesa a Cagliari nel convegno per la Settimana sociale in cui il lavoro domenicale è stato definito "indegno"
CAGLIARI, «Trascorrere la domenica con la mia famiglia è la cosa che mi manca di più». Valentina Sechi, 49 anni, lavora nella grande distribuzione da quasi un quarto di secolo. E da sei anni gran parte delle domeniche le passa al lavoro, tra gli scaffali e i banconi dell'ipermercato. «Il mio contratto non prevedeva il lavoro domenicale, dal lunedì al sabato, niente festivi né domeniche - racconta -. Poi 6 anni fa c'è stata la crisi, l'azienda per non fare licenziamenti di massa ha chiesto la nostra disponibilità per qualche domenica. Che però nell'accordo sono poi diventate 23 più le 3 di dicembre. La metà esatta delle domeniche di ogni anno».
E così anche di domenica Valentina è costretta ad andare da Iglesias, la sua città, a Cagliari, dove lavora. 54 chilometri per andare, altrettanti per tornare. Ma soprattutto è costretta a lasciare i due figli, 17 e 12 anni, a casa. «Rinunciare a trascorrere la giornata di festa con la famiglia è molto pesante. Non è facile fare capire a un bambino piccolo, ma neanche a un ragazzino di 12 anni, che la mamma non può passare la domenica con loro. Anche perché è l'unico giorno in cui i figli sono a casa e te li puoi godere. In settimana, tra scuola, palestra e amici, il tempo è molto risicato».
Baby sitter. Ma c'è anche un risvolto economico. Figli minorenni significa cercare qualcuno che li accudisca mentre i genitori non ci sono, soprattutto quando sono entrambi lavoratori. Il caso di Valentina. «Mio marito è una autotrasportatore e capita che lavoriamo tutti e due la domenica. Sono così costretta a trovare una persona che copra le ore in cui siamo tutti e due assenti da casa. Devo trovare una baby sitter, e, non dimentichiamo, che è domenica anche per lei. Alla fine spendo più di quanto guadagno. Anche perché oggi il nostro lavoro domenicale è pagato pochissimo. La maggiorazione del 30 per cento è quasi niente. Prima arrivavamo al 130, lavorare la domenica era conveniente, oggi non ne vale davvero la pena. Anche se la cosa che mi pesa di più è il non poter stare con i miei figli. Sembra banale, ma sa che ho dovuto rinunciare a mandare mia figlia a catechismo? È di domenica e non posso permettermi una baby sitter anche per portarla in chiesa».
Caos domenicale. Ormai i centri commerciali hanno sostituito i centri storici, giovani e anziani si ritrovano in questi scatoloni nelle periferie delle città per trascorrere il tempo. «Ma non è vero che la domenica si lavori più degli altri giorni - dice ancora Valentina Sechi -. Anzi. La domenica si registrano cifre più basse. Il centro commerciale si riempie quando piove, ma in più c'è solo confusione. Dal punto di vista economico non c'è grande riscontro. La domenica non è un giorno di forza, c'è tanta bolgia, ma è solo un punto di ritrovo senza grande ritorno economico. Ecco perché sono convinta che la politica debba ascoltare la Chiesa e i sindacati, che da tempo si battono per darci una mano. Rinunciare a passare la giornata con la famiglia vuole dire tantissimo: non poterti alzare con calma né fare colazione con i tuoi figli né organizzare qualsiasi cosa, e neanche andare a trovare i tuoi genitori che vivono lontano. Tutto questo perché alle 6 del mattino devi essere al lavoro. È davvero ingiusto». (al.pi.)