L’isola ha paura del futuro Fiducia solo sul turismo
di Alessandra Sallemi
L’indagine della Fondazione: la Sardegna è in crisi ma si sente ancora più povera Tre sardi su 4 sono convinti che un giovane non ha alternative all’emigrazione
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CAGLIARI. La crisi esplosa nel 2009 ha provocato negli anni un sentimento di rancorosità che attraversa l’Italia, arriva in Sardegna e qui viene potenziato dalla convinzione che l’isola stia pagando un prezzo più alto sotto ogni punto di vista. Si tratta di una percezione, ma è fortissima (67 per cento delle persone intervistate) e passa sopra il dato reale secondo il quale le famiglie sarde che riescono appena a pagare le spese sono il 45 per cento, un dato certo superiore alla media italiana, ma «nettamente inferiore rispetto al Mezzogiorno d’Italia». La crisi mostra bene i suoi effetti con un altro numero: le famiglie che «vivono bene» in Sardegna sono il 44 per cento, ma prima del 2009 erano il 60 per cento. «Sono stati persi 16 punti di serenità», ha detto Roberto Weber, ricercatore dell’Istituto Ixè di Trieste cui la Fondazione di Sardegna ha commissionato l’indagine, presentata ieri, “Lo stato delle cose: fra ‘percepito’ e ossatura reale”. Un campione di 1.600 persone e poi due gruppi di discussione a Sassari e a Cagliari sono stati “interrogati” attraverso questionari su che cosa «pensassero della Sardegna a prescindere dalle situazioni oggettive». Un’indagine del sentimento comune che ha precedenti illustri: raccontava ieri Weber, nella sala della Fondazione a Cagliari, che «Pericle nella Grecia del V secolo era molto attento alle voci perché meno controllabili». I sondaggi sono stati fatti in due anni, 2016 e 2017, e poi confrontati con dati analoghi sul resto dell’Italia. Nella percezione della realtà, il lavoro nero è al 52 per cento (media italiana 42 per cento), la domanda era «Lei conosce qualcuno che svolge il suo lavoro in nero?». Fino a 10 anni fa, 13 persone su 100 dicevano «sono disoccupato», oggi 70, 80 persone affermano di fare lavori precari. Il 49 per cento dei sardi si sente in credito col Paese, nel resto d’Italia il 43 per cento, ma prima del 2009 era il 26 per cento a ritenere di fare più di quanto lo Stato restituisse. Il problema maggiormente percepito in Sardegna è la disoccupazione (83 per cento degli intervistati) il lavoro poco remunerato il 42 per cento, il 35 indica lo spopolamento. Percepiti come «problemi»: per il 18 per cento gli extracomunitari, il 10 per cento le distanze, costo della casa un altro 10 per cento. Il dato che ai ricercatori di Ixe è apparso inedito è sulla criminalità: 5 per cento, appena percepita, mentre la media italiana è del 25 per cento. Il 74 per cento non crede che la Sardegna possa offrire un futuro ai giovani (media italiana 55 per cento). I settori che possono garantire sviluppo: all’85 per cento il turismo (l’Italia ci crede invece al 55 per cento), agricoltura 54, la cultura 14 per cento, per l’Italia è il 20. Su dieci cittadini sardi, 7,5 amano la qualità ambientale della Sardegna, 6,4 si sentono sicuri a vivere qui. Scuola e formazione convincono 5,5 sardi su 10 (nonostante nella realtà la Sardegna sia al penultimo posto in Italia per abbandoni scolastici), stesso dato per i servizi sanitari. «La qualità della vita - ha sottolineato Weber - in Sardegna è percepita come elevata, ha un fondo mitico che non deve essere lasciato cadere». Tra le fonti di informazioni spicca il web, col 55 per cento, «ha più potere che nel resto d’Italia», le reti tv nazionali il 39 per cento, i quotidiani locali il 31 per cento. Infine, un dato che «con questa forza - ha commentato Weber - non si trova da nessuna parte»: il 51 per cento del campione si sente non europeo o italiano ma sardo». Antonello Cabras, presidente della Fondazione: «La nostra missione fondamentale è aiutare lo sviluppo, il senso di questo lavoro è metter e a disposizione di tutti questi dati. In un mondo dove ormai tutto si cerca su internet, il tema della percezione è fondamentale. Se il turismo è visto come l’unico futuro della Sardegna e poi scopriamo che nella realtà incide per l’8 per cento è evidente che bisogna promuovere approfondimenti».