Sassari, famiglia "ostaggio" del treno in casa propria
La campagna è di fronte al passaggio a livello: ogni volta che vogliono passare devono chiedere il permesso
SASSARI. Per entrare a casa loro devono chiedere il permesso. E non sempre viene concesso. Quando vanno via devono avvisare, altrimenti rischiano di beccarsi una multa. Prestare le chiavi a un amico o a un parente è impossibile, perché sono loro gli unici autorizzati ad aprire la serratura del passaggio a livello. Sembra uno scherzo, ma è tutto messo nero su bianco nella convenzione siglata l’11 ottobre 2017 tra Rfi, Rete ferroviaria italiana, e i tre proprietari del terreno con vista sulle rotaie. In realtà due proprietari su tre non hanno firmato, il terzo l’ha fatto «solo perché costretto», come ha precisato in allegato al documento di 15 pagine. Ed è lui a raccontare una storia incredibile. Perché mentre non si fa che parlare dell’urgenza di potenziare il sistema dei trasporti, puntando in particolare su quello ferroviario, si scopre che alle porte di Sassari il passaggio di un treno della linea Chilivani-Porto Torres tiene in ostaggio tre persone.
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Prigionieri a casa propria. Siamo a San Giorgio, una manciata di chilometri dal centro abitato di Sassari. Un polmone verde, tante case e campagne, dove Pietrino Sanna, 81 anni, di Benetutti ma residente a Sassari, possiede un terreno di quattro ettari in comproprietà con altre due persone. Sanna, veterinario in pensione, va spesso nella sua campagna per curare le piante ma soprattutto per prendersi cura degli animali: due cavalli, galline e conigli. Da qualche mese la gita solitamente piacevole è diventata un incubo. Perché il cancello d’ingresso della campagna si affaccia su una stradina privata sbarrata da un passaggio a livello protetto da barriere non automatizzate ma chiuse a chiave. E per inserire la chiave nel lucchetto, aprire le barriere ed entrare a casa propria, bisogna chiedere il permesso, anzi il nulla osta, a Rfi. Come? Schiacciando il pulsante di un apparecchio, una specie di citofono piazzato a bordo strada, e pronunciando la formula magica: “Sono l’utente x del passaggio a livello privato al chilometro.... della linea..... chiedo nulla osta apertura barriere”. Qualche secondo in stand by e poi il responso: positivo se il treno non è nei paraggi, negativo in caso contrario. A volte l’attesa dura anche 15 minuti. Ma non è finita. «Analoga procedura – racconta Pietrino Sanna – va seguita dopo che si è passati e poi per tornare indietro». Tra andata e ritorno sono quattro volte in tutto. Ma non c’è alternativa, perché quello è l’unico punto d’accesso al terreno.
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Addio alla privacy. Sino all’ottobre scorso la procedura era diversa. Le barriere c’erano e si aprivano con la chiave in dotazione ai proprietari, ma non era necessario “citofonare” o telefonare a Rfi per chiedere il nulla osta. «Potevo andare e tornare quando volevo senza sottopormi alla procedura di identificazione – racconta Pietrino Sanna – ma era comunque una scocciatura. Per questo da tempo io e gli altri proprietari abbiamo sollecitato Rfi a disporre sbarre automatizzate. Un sistema che oltre a evitare perdite di tempo, garantirebbe maggiore sicurezza. Abbiamo anche fatto presente che poco più avanti lungo la stessa linea ferroviaria, da decenni ci sono le sbarre automatiche per permettere l’accesso ad un ex saponificio dismesso da oltre 30 anni». Niente da fare: a settembre scorso Rfi non solo ha detto no alle sbarre automatizzate, ma ha anche annunciato una nuova convenzione più restrittiva della precedente perché impone la richiesta del nulla osta. «Un obbligo che lede il diritto alla privacy – dice Pietrino Sanna – perché non siamo obbligati a comunicare quando andiamo a casa nostra. Non solo: non siamo liberi di affidare le chiavi a qualcun altro a meno se non comunichiamo prima i nominativi a Rfi».
L’appello. Pietrino Sanna, dopo avere chiesto inutilmente l’annullamento delle condizioni «imposte da Rfi, che ha scritto la convenzione senza sentire il nostro parere», ha firmato il documento a differenza degli altri due proprietari. «L’ho fatto perché in caso contrario l’accesso a casa mia mi sarebbe stato precluso. E questo avrebbe significato non poter curare più la campagna, i miei alberi da frutto e soprattutto gli animali. Ma ho messo per iscritto di non condividere l’imposizione e di avere firmato perché obbligato». Sanna ha fatto presente tutto questo in una lettera che ha spedito al sindaco di Sassari, alla Questura, al comando dei carabinieri e della Polizia locale «e per quanto inutile, a Rfi». La richiesta: via i citofoni, stop ai controlli, il problema «va affrontato con serietà» e non con metodi stile Grande Fratello.