La Nuova Sardegna

Mario Segni: «Al Paese serve un governo, nessuno si tiri indietro»

di Alessandro Pirina
Mario Segni: «Al Paese serve un governo, nessuno si tiri indietro»

Il leader referendario: «Accordo M5s-Lega-Pd per cambiare la legge elettorale. La Sardegna vive una crisi profonda: subito un fronte unitario per l’insularità»

14 marzo 2018
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SASSARI. All’inizio degli anni Novanta la Prima repubblica crollò sotto i colpi dei suoi referendum. Oggi Mario Segni assiste da spettatore al crollo della Seconda, abbattuta dalla valanga di voti per i partiti anti sistema, il Movimento 5 stelle e la Lega, che hanno condannato quelli tradizionali, il Pd e Forza Italia, a una sconfitta senza precedenti. Un risultato elettorale netto, che non ammette interpretazioni, ma difficilmente riuscirà a dare al Paese maggioranze stabili e governo.

Segni, è nata la Terza repubblica?
«Assolutamente sì. Nel corso della storia repubblicana abbiamo avuto due eventi che hanno cambiato la storia non solo politica ma anche istituzionale del nostro Paese. Il primo nel 1993 con la crisi del vecchio sistema e il referendum che ha introdotto il maggioritario. Il secondo a distanza di 25 anni ha messo fine alla stagione di democrazia governante, quel sistema un po’ francese e un po’ inglese che eravamo riusciti a introdurre. Di quella stagione è rimasta solo l’elezione diretta di sindaci e presidenti della Regione, ma ho paura che anch’essa possa essere cancellata».

Perché l’Italia ha virato verso il proporzionale?
«Il maggioritario e il bipolarismo sono stati distrutti da una guerra continua da parte di tutto il sistema politico, fatte salve alcune eccezioni. Con l’introduzione del Porcellum hanno distrutto le fondamenta, nonostante tutte le volte in cui i cittadini siano stati chiamati a esprimersi lo abbiano fatto a favore del maggioritario con maggioranze amplissime. Solo una volta, parlo del referendum costituzionale del 4 dicembre, i cittadini hanno detto no al tentativo, fatto male, di portare avanti una linea maggioritaria di governabilità. Ma in quel caso a determinare la sconfitta sono stati soprattutto gli errori di Renzi».

Cosa pensa del Rosatellum?
«È una legge pasticciata che si muove nell’ottica del proporzionale. Una legge fatta per non fare vincere nessuno, ma che alla fine ha prodotto due vincitori».

E ora cosa succederà?
«Io non sono in grado di dirlo, ma posso dire quello che è il dovere dei partiti oggi. Di tutti i partiti, perché tutti hanno concorso allo sfascio. A partire dal Pd, che non può chiamarsi fuori. Fossi nei dem chiederei ai due partiti che hanno vinto di governare insieme impegnandosi a fare una legge elettorale maggioritaria a doppio turno e poi tornare subito alle elezioni. Sarebbe un atto di responsabilità da parte di Lega e M5s, ma sarebbe doveroso anche da parte del Pd, primo autore di questa legge-obbrobrio la cui approvazione, non dimentichiamolo, fu festeggiata con lo champagne. Il Pd deve dire che si impegna sulla legge elettorale, invitando i partiti che hanno vinto a scoprire le loro carte».

Sia la Lega che il M5s rivendicano però Palazzo Chigi.
«Partiamo dalla destra, a cui bisognerebbe fare una domanda: siete o non siete una coalizione? Perché loro rivendicano la presidenza del Consiglio perché si definiscono la prima coalizione. Colpa di una legge elettorale che ha truffato gli italiani facendocredere loro che semplici alleanze fossero coalizioni. In realtà, per avere una coalizione ci vuole un premier espresso e soprattutto un programma comune. Ma oggi nel centrodestra italiano manca una posizione chiara non solo sui temi economici ma anche su quelli istituzionali e di politica estera. Anche se sul piano delle proposte economiche vedo più facile un’alleanza tra il centrodestra e il Pd...».

Dice?
«La proposta forte di Salvini è la riduzione fiscale. Certo, avrebbe problemi di copertura ma sarebbe una proposta che va nel senso di modernizzare il Paese. Quella del M5s è invece una proposta contributiva pubblica che sfonda i tetti di spesa e aumenta la statalizzazione della economia. Guarda indietro».

Lei come giudica il M5s?
«È un caso eccezionale dovuto a una situazione eccezionale. Non è detto che sia destinato a una fine rapida, come fu per l’Uomo qualunque. Oggi più che altro sembra un partito eterodiretto dall’alto, senza una organizzazione dal basso. Vedo più strutturata la Lega».

E l’ipotesi di una proroga di Gentiloni? D’altronde in Germania hanno atteso 6 mesi per avere un governo e in Spagna sono ritornati al voto.
«Tutto è possibile e proseguire con Gentiloni potrebbe essere la soluzione per evitare lo sfascio totale. Però non paragoniamoci alla Germania, dove ci sono fattori di stabilità e una coesione sociale che da noi non esistono. Noi f siamo più simili alla Spagna, che vive ancora una crisi profonda, acuita dal caso Catalogna. E da noi incombe il rischio del debito pubblico, lo ha detto anche Draghi».

E la Sardegna? Nell’isola il risultato è stato ancora più netto del resto d’Italia.
«Lo si era già capito dal referendum del 4 dicembre. Il No ebbe una vittoria schiacciante per il forte malcontento e la grande ostilità nei confronti di Renzi».

Con questi numeri per il M5s la strada per le regionali sembra in discesa.
«I numeri dicono questo, ma in questo momento per uscire dalla crisi profonda l’isola ha bisogno di trovare un tema unificante. Come fu col lancio della autonomia e il Piano di rinascita. Io questo tema lo indicherei nella insularità, che non è legata al solo problema dei trasporti. Siamo in una fase storica in cui si sta acuendo la distanza tra Nord e Sud, ma anche tra Sardegna e penisola. I sardi devono diventare italiani a tutti gli effetti. Ecco perché, partendo dal referendum, bisogna creare un fronte unico proprio sull’insularità, andando poi a cercare solidarietà oltremare. È una rivendicazione più che legittima e dobbiamo approfittare della regionali».

Segni, a cosa è successo il 4 marzo?
«Gli italiani hanno voluto punire la classe dirigente come nel 1993. Allora il rifiuto riguardava Craxi e la Dc, oggi l’asse Pd-Berlusconi».

Lei per chi ha votato?
«Per Emma Bonino perché avrei voluto che raggiungesse il 3 per cento. Lo ho fatto anche in ricordo della notte in cui fu approvato il Porcellum e a protestare davanti a Montecitorio ci ritrovammo io, lei, Arturo Parisi e pochi altri».

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