Michela Murgia: «Ora tutti giocano sulla vita di Alfie»
"Peccato che in tutto questo il bene del bambino non c'entri assolutamente nulla" - IL COMMENTO
Dal punto di vista giudiziario la vicenda è chiara: per il giudice inglese la malattia del bambino, essendo irreversibile e incurabile, trasforma ogni assistenza palliativa in accanimento terapeutico e la equipara a violenza su minore, categoria che autorizza lo stato a bypassare la potestà genitoriale. Se è inquietante che sia uno stato ad assumersi la decisione di una eutanasia, non meno discutibile è l'atteggiamento dei genitori, che si ostinano contro ogni logica a tenere in piedi una situazione dove il loro bambino non può dire basta da solo alla sua infinita agonia.
Offrendo al bimbo la propria cittadinanza l’Italia si è messa di mezzo aprendo di fatto un conflitto diplomatico, nonché medico, e la corte inglese ha comprensibilmente vietato il trasferimento. Se i giudici lo avessero autorizzato - oltre a prolungare l'agonia del piccolo che la sentenza puntava a interrompere - avrebbero permesso al mondo intero di pensare che l'Italia misericordiosa stesse concedendo la cittadinanza al bambino perché l'inclemente Regno Unito voleva staccargli a tutti i costi i tubi. I medici inglesi ovviamente non ci stanno a passare per carnefici contro i medici italiani che invece avrebbero un cuor d'oro, né il sistema giudiziario di Sua Maestà può accettare l'idea che una sua decisione sia commissariata da un altro stato. Se domani la Farnesina decidesse per atto umanitario di dare la cittadinanza italiana a tutti i detenuti americani nel braccio della morte, non vorrebbe dire che gli USA li manderebbero a scontare la pena qui, né del resto l’Italia penserebbe mai di fare una cosa simile, perché tra paesi amici vige il rispetto per gli ordinamenti altrui anche quando permettono cose che altrove sono illegali.
L'accostamento bambino/detenuti non è equiparante moralmente, ma giudizialmente il principio è identico: offrire ad Alfie e ai suoi genitori la cittadinanza per motivi umanitari implica che essi di fatto siano considerabili rifugiati politici che il regno inglese sta perseguitando, una lettura inaccettabile sul piano diplomatico. Anche sul fronte medico le cose non sono facili. Sarebbe infatti grave che con l’invito italiano passasse l'idea che i genitori possano decidere i trattamenti sanitari dei figli sulla base dei loro soli desideri e credenze; sarebbe allora sensato che i testimoni di Geova negassero le trasfusioni ai figli minori, i vegani dessero loro solo vegetali e gli antivaccinisti li mandassero in giro non protetti dai virus, unti e untori allo stesso tempo. Non è mai facile capire dove si ferma la potestà genitoriale e dove comincia il dovere dello Stato di proteggere il minore contro le convinzioni lesive dei suoi stessi genitori. C’è infine la questione della politica interna italiana, che in questo momento rende assai pelosa la concessione di questa cittadinanza.
Per capire quanto sia strumentale basta vedere che a caldeggiarla sono politici come Giorgia Meloni, che se governassero cambierebbero domani la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, ma che giammai per salvargli la vita darebbero la cittadinanza a un bambino che arrivasse qui dalla parte sbagliata dei confini. Perché dunque l’ospedale Bambin Gesù si fa avanti, se non c’è niente da fare per Alfie? A chi giova questo trasferimento? Il Bambin Gesù non è un ospedale qualunque, ma una struttura nella giurisdizione piena ed esclusiva della Santa Sede. Agli effetti pratici è un'area extraterritoriale vaticana al pari di un'ambasciata straniera. Ci lavorano uomini e donne di scienza, ma non sono immuni alle pressioni politiche e agli orientamenti delle proprie dirigenze. In fila c’è una serie di fattori facili da sommare: un caso mediatico molto toccante, un ospedale della Santa Sede, il Papa che si interessa personalmente al caso, un ministro degli esteri ben lieto di fare il gesto che lo colloca tra le grazie vaticane e l’addizione è presto fatta. Peccato che in tutto questo il bene di Alfie non c'entri assolutamente niente.