Sassari, furti e rapine si spostano a Predda Niedda
di Antonio Meloni
Sfatato il “mito” del centro storico violento, i reati soprattutto nell’agro e nella zona industriale
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SASSARI. Il luogo comune corre sul filo, ma a sfatarlo ci pensa la scienza: il tanto vituperato centro storico cessa di essere area di crisi e reati come rapine e furti si verificano con più frequenza a Predda Niedda, nelle periferie storiche e nella cinta urbana prossima all’agro.
Emerge dal quinto rapporto sulla criminalità in Sardegna curato dalla sociologa Antonietta Mazzette dell’università in collaborazione con una folta squadra di specialisti che per quattro anni, dal 2010 al 2014, ha passato al setaccio una messe preziosa di informazioni rilevate sul campo. Il lavoro, che comprende un importate focus sulla criminalità predatoria nell’area urbana di Sassari, è l’esito dell’attività dell’Osservatorio sociale sulla criminalità in Sardegna. Ma si deve anche al supporto della Procura della Repubblica di Sassari che ha consentito ai ricercatori Daniele Pulino e Sara Spanu, dell’Ateneo, di consultare gli archivi per avere informazioni dirette su due tipologie di reato, i furti e le rapine.
Da chiarire subito che non c’è alcun allarme criminalità e che l’istantanea scattata dallo studio appena concluso tende ad allineare Sassari alla media delle città italiane con le stesse caratteristiche demografiche e socio-economiche. Certamente sfata il luogo comune di un centro storico crocevia di delinquenza. Invece, a sorpresa, scorrendo i dati rilevati e interpretati dai sociologi, si scopre che la città vecchia è relativamente interessata da certi fenomeni e che aree come la zona industriale di Predda Nidedda sono invece più esposte al rischio di eventi criminosi come le rapine.
«Si tratta di una porzione estesa di territorio periurbano – spiega Daniele Pulino, assegnista di ricerca in sociologia dei fenomeni politici – caratterizzata dalla marcata presenza di importanti attività produttive fra cui negozi di elettronica, centri commerciali, concessionarie di auto e servizi di logistica, luoghi che più di altri, per queste caratteristiche, sono esposti al rischio di rapina».
Un discorso diverso deve essere fatto in relazione ai furti, specie quelli commessi in appartamento, messi a segno nei quartieri delle periferie storiche, nei grossi agglomerati urbani che si estendono attorno alla città o nelle aree isolate che confinano con l’agro: «In questo caso ciò che gioca a sfavore – prosegue il ricercatore – è l’indebolimento dei presidi di controllo sociale del territorio, attivato dallo spostamento quotidiano di consistenti masse di popolazione per motivi di lavoro o studio e che può creare le condizioni favorevoli alla commissione di furti».
Un fenomeno ricorrente, dunque, che diviene particolarmente acuto in quelle situazioni di isolamento, prossimo alle aree rurali, in cui il controllo sociale risulta pressoché assente. Eppure, nell’immaginario collettivo il centro storico viene considerato zona ad alto rischio. La sensazione che si respira è che il problema sia di altra natura e più che di reale insicurezza derivi dalla percezione distorta di un insieme di concause legate al relativo degrado degli edifici, alla mescolanza etnica e a un insieme di fattori che, a torto o ragione, alimentano la paura.
Alla stesura del rapporto, che sarà presentato integralmente a metà maggio, nella Fondazione di Sardegna, hanno collaborato anche il procuratore della Repubblica Gianni Caria, il funzionario della procura Giuseppe Manca, gli studenti del liceo scientifico Fermi di Alghero e tutta l’equipe di ricerca coordinata dalla sociologa urbana Antonietta Mazzette: Romina Deriu, Camillo Tidore, Manuela Pulina, Domenica Dettori, Laura Dessantis, Maria Gabriella Ladu, Daniele Pulino e Sara Spanu. L’immagine di copertina del volume, edito da Edes, è di Federica Senes, studentessa che collabora alla radio tv Reporter dell’università.
Emerge dal quinto rapporto sulla criminalità in Sardegna curato dalla sociologa Antonietta Mazzette dell’università in collaborazione con una folta squadra di specialisti che per quattro anni, dal 2010 al 2014, ha passato al setaccio una messe preziosa di informazioni rilevate sul campo. Il lavoro, che comprende un importate focus sulla criminalità predatoria nell’area urbana di Sassari, è l’esito dell’attività dell’Osservatorio sociale sulla criminalità in Sardegna. Ma si deve anche al supporto della Procura della Repubblica di Sassari che ha consentito ai ricercatori Daniele Pulino e Sara Spanu, dell’Ateneo, di consultare gli archivi per avere informazioni dirette su due tipologie di reato, i furti e le rapine.
Da chiarire subito che non c’è alcun allarme criminalità e che l’istantanea scattata dallo studio appena concluso tende ad allineare Sassari alla media delle città italiane con le stesse caratteristiche demografiche e socio-economiche. Certamente sfata il luogo comune di un centro storico crocevia di delinquenza. Invece, a sorpresa, scorrendo i dati rilevati e interpretati dai sociologi, si scopre che la città vecchia è relativamente interessata da certi fenomeni e che aree come la zona industriale di Predda Nidedda sono invece più esposte al rischio di eventi criminosi come le rapine.
«Si tratta di una porzione estesa di territorio periurbano – spiega Daniele Pulino, assegnista di ricerca in sociologia dei fenomeni politici – caratterizzata dalla marcata presenza di importanti attività produttive fra cui negozi di elettronica, centri commerciali, concessionarie di auto e servizi di logistica, luoghi che più di altri, per queste caratteristiche, sono esposti al rischio di rapina».
Un discorso diverso deve essere fatto in relazione ai furti, specie quelli commessi in appartamento, messi a segno nei quartieri delle periferie storiche, nei grossi agglomerati urbani che si estendono attorno alla città o nelle aree isolate che confinano con l’agro: «In questo caso ciò che gioca a sfavore – prosegue il ricercatore – è l’indebolimento dei presidi di controllo sociale del territorio, attivato dallo spostamento quotidiano di consistenti masse di popolazione per motivi di lavoro o studio e che può creare le condizioni favorevoli alla commissione di furti».
Un fenomeno ricorrente, dunque, che diviene particolarmente acuto in quelle situazioni di isolamento, prossimo alle aree rurali, in cui il controllo sociale risulta pressoché assente. Eppure, nell’immaginario collettivo il centro storico viene considerato zona ad alto rischio. La sensazione che si respira è che il problema sia di altra natura e più che di reale insicurezza derivi dalla percezione distorta di un insieme di concause legate al relativo degrado degli edifici, alla mescolanza etnica e a un insieme di fattori che, a torto o ragione, alimentano la paura.
Alla stesura del rapporto, che sarà presentato integralmente a metà maggio, nella Fondazione di Sardegna, hanno collaborato anche il procuratore della Repubblica Gianni Caria, il funzionario della procura Giuseppe Manca, gli studenti del liceo scientifico Fermi di Alghero e tutta l’equipe di ricerca coordinata dalla sociologa urbana Antonietta Mazzette: Romina Deriu, Camillo Tidore, Manuela Pulina, Domenica Dettori, Laura Dessantis, Maria Gabriella Ladu, Daniele Pulino e Sara Spanu. L’immagine di copertina del volume, edito da Edes, è di Federica Senes, studentessa che collabora alla radio tv Reporter dell’università.