Figli rifiutano la madre, padre a giudizio
Dopo la separazione dei genitori saltano gli incontri, i periti del giudice: sono affetti da Sindrome da alienazione parentale
SASSARI. «Oggi ripenso a quando mio marito mi minacciava: “Non ti farò più vedere i bambini”. Allora non davo peso a quella frase, mi pareva impossibile. Ma adesso tutto torna... i miei figli da anni non vogliono più vedermi. A Pasqua sono andata all’incontro e ho portato loro le uova di cioccolato. Non le hanno accettate».
È una madre disperata quella che si presenta davanti al giudice Valentina Nuvoli nell’aula al piano terra del tribunale di Sassari dove si sta celebrando il processo penale contro l’ex marito della donna. È stata lei stessa a denunciarlo ai carabinieri perché, nonostante l’affidamento congiunto, lui in questi anni non le avrebbe permesso di vedere i bambini. Non è che le sbattesse la porta in faccia quando andava a trovarli a casa di lui (dove il giudice aveva accordato che si stabilissero) ma avrebbe messo in atto una serie di strategie – così ha sostenuto la donna – più “subdole”. Come non farsi trovare in casa agli orari stabiliti, o dirle che i bambini avevano altri impegni (sport, studio), «e altre scuse ancora».
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Ma fin qui tutto rientra – purtroppo – nella lunga casistica delle diatribe familiari post separazione. Ciò che invece è molto più singolare è il resto, perché – e probabilmente si tratta del primo caso in Sardegna e tra i pochi in Italia – entra nel processo penale una perizia dalla quale emerge che i figli della coppia sono affetti da “sindrome da alienazione parentale”. Tradotto per i non addetti: il padre avrebbe condizionato a tal punto i due bambini da averli indotti a non voler più vedere la propria madre. Lo hanno messo nero su bianco gli psichiatri Carlo Desole e Valentina Pinna cui il giudice civile – nell’ambito della causa di separazione – aveva affidato l’incarico di eseguire una perizia che accertasse quali fossero le ragioni che spingevano i figli a rifiutare la propria madre. Un verdetto doloroso e insolito che due giorni fa è entrato a far parte del fascicolo processuale. Il documento infatti è stato prodotto in aula dall’avvocato Danilo Mattana che assiste la donna.
Ma bisogna fare un passo indietro per capire come si è arrivati a questa situazione. Nel 2011 i due coniugi si separano consensualmente e viene anche stabilito l’affidamento congiunto dei figli. La mamma acconsente alla decisione che i bambini vadano a vivere con il padre. A quel punto comincia il calvario: la donna non riesce mai a incontrare i figli, tanto che qualche anno più tardi il tribunale civile dà l’incarico per una perizia. Nel frattempo lei denuncia il marito per non aver ottemperato a un provvedimento del giudice, quello cioè che sanciva il diritto di visita quotidiano della mamma ai bambini e anche che potesse accompagnarli e andare a prenderli a scuola. L’uomo viene indagato e rinviato a giudizio. Venerdì il colpo di scena: gli psichiatri dicono che i due – di 14 e 16 anni – sono affetti dalla Pas (Parental Alienation Syndrome). Il padre (ma a detta della donna anche la suocera avrebbe avuto un ruolo determinante) avrebbe fatto loro una sorta di lavaggio del cervello, li avrebbe cioè portati a odiare a tal punto la mamma che in seguito sarebbero stati gli stessi bambini (oggi ragazzini) a non volerla più incontrare. L’uomo però ha sempre sostenuto di non aver mai proibito ai figli di vedere la propria madre e ha anche aggiunto che quella di non incontrarla è stata fin dall’inizio una loro scelta. Ma poteva fare qualcosa per convincerli? Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che è reato «la mancanza di un’attiva e doverosa collaborazione da parte del genitore affidatario alla riuscita delle visite e degli incontri dell’altro genitore stabiliti con provvedimento del giudice civile, collaborazione essenziale soprattutto nel caso di un minore in tenera età, nel cui interesse si prevede che entrambi i genitori debbano mantenere e coltivare un rapporto affettivo con il proprio figlio».
«Sono rimasta a Sassari per i miei figli – ha detto in aula la donna che non ha origini sarde – Continuerò a lottare per vederli, finché qualcuno non si renderà conto che io sono la loro mamma e che non è giusto quello che mi sta succedendo».