Daniele Conti: «Battere il Napoli è una gioia doppia»
L’ex capitano del Cagliari è stato più volte decisivo contro i partenopei
CAGLIARI. La maglia del Cagliari l’ha indossata 434 volte. Arrivato nel 1999, Daniele Conti non è più andato via. Si è innamorato della Sardegna, ha rifiutato proposte allettanti, legandosi a vita alla società rossoblù, allora guidata da Cellino. Ha smesso di giocare nell’estate del 2015. Subito dopo è entrato a far parte dello staff tecnico del club. le partite contro il Napoli le ha sempre vissute intensamente. Qualche volta le ha anche decise .
Cominciamo col gol nel recupero nel 2008, una rimonta incredibile e una grande festa al Sant’Elia. Che ricordi ha?
«Indelebili. Il boato dei tifosi mi sembra di sentirlo ancora. Il cross di Foggia, io che la prendo di testa e la palla che gonfia la rete. In quel momento non ha capito più niente. Quella vittoria ci ha dato la carica per conquistare la salvezza dopo un girone di andata nel quale avevamo fatto pochi punti».
Lei ha fatto uno scherzetto agli azzurri anche al San Paolo: una rete nel recupero con lo stadio che già cantava per la vittoria.
«Anche quel momento lo custodisco nel cuore. È arrivata la palla giusta e sono stato fortunato a sfruttarla. Fare risultato col Napoli per noi ha sempre avuto un sapore speciale».
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Adesso gli azzurri lottano per lo scudetto.
«Va riconosciuto a Sarri di aver fatto un lavoro straordinario. È una squadra che gioca un gran bel calcio e soprattutto gioca a memoria. Non è semplice affrontarli».
Partite così le fanno venire la voglia di rimettersi scarpette e pantaloncini?
«Sinceramente sì. Provo un po’ di nostalgia. Questa è una gara particolare per la nostra tifoseria, vincerla è una doppia soddisfazione».
Come si vive nello spogliatoio la settimana che precede una sfida così sentita?
«Va subito detto che questo effetto lo avverte maggiormente chi da più anni sta a Cagliari. Non c’è bisogno di stimoli, vai in campo e devi dare il massimo. Anzi, di più».
Ha mai fatto questo pensiero: forse potevo continuare un altro anno.
«Le dico la verità: quando ho deciso di dire basta, l’ho fatto perchè mi sono reso conto che non potevo dare più il 110 per cento per questa maglia. Poi questo pensiero l’ho fatto, non posso negarlo. In campo puoi sfogarti, stare fuori è una sofferenza».
Adesso lei scopre talenti. È un lavoro che le piace?
«Mi piace perchè mi consente di andare in giro, conoscere nuove realtà, guardare le partite. Ceter? Sì, l’ho visto giocare e secondo me ha delle ottime potenzialità».
Un futuro in panchina?
«Ho sempre detto che non vorrei farlo perchè dovrei spostarmi da Cagliari, la città dove ho scelto di vivere. Vorrei continuare a dare il mio contributo alla società di cui mi sono innamorato tanti anni fa».
Nella classifica delle bandiere del Cagliari: primo Riva, secondo Conti. Giusto?
«Giustissimo. Già essere considerato una bandiera come Gigi mi fa onore. Lui è una persona speciale, che ho avuto la fortuna di conoscere. Ogni volta che sento la sua voce provo una forte emozione».
Parliamo di Lopez, chissà quante storie può raccontare su di lui.
«Certe cose preferisco tenerle dentro. Abbiamo combattuto tante battaglie insieme. Lui, come me, ha dato l’anima per la maglia rossoblù».
Da calciatore era un guerriero, ora è più riflessivo.
«Ho notato questo cambiamento. Il nuovo ruolo lo ha portato ad essere meno aggressivo, ma è sempre attento ad ogni particolare e sa trasmettere una carica speciale».
Almeno un episodio di quando Diego era calciatore ce lo racconta?
«Diciamo che tutti siamo andati sopra le righe qualche volta. Lo ha fatto anche lui, ma poi, come è successo a me, ha capito di aver sbagliato. Diego è stato il mio capitano, pretendeva il massimo anche negli allenamenti».
Lopez allenatore e Fini vice, lo avrebbe mai pensato?
«Qualche anno fa no. Ma li conosco bene entrambi, sono capaci e preparati. Michele ha fatto tante esperienze e con Diego sono amici oltre che colleghi. Ci metterei anche Agostini, un altro che al Cagliari ha dato tantissimo».
La sua emozione più bella con la maglia rossoblù?
«Quando ho smesso. Ero triste e i tifosi sono venuti sotto casa e cantavano il mio nome. Provo ancora i brividi. L’altra è stata la partita d’addio. Vedere il sant’Elia pieno è una sensazione che non proverò più».
Le sarebbe piaciuto giocare alla Sardegna Arena?
«Non c’è dubbio ma gli anni passano. È bellissimo giocare con i tifosi a contatto, moltiplichi le energie. Chissà che col Napoli non facciano il miracolo».
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