«Amo il Giro d’Italia La corsa più bella che non tradisce mai»
Oggi ad Alghero il giornalista irlandese Colin O’Brien Campioni e rivalità, salite mitiche e storie di doping
ALGHERO. Un secolo sulle strade del Giro d'Italia visto da un giornalista irlandese. «Il Giro d'Italia. Una storia di passione, eroismo e fatica” è il titolo del libro che Colin O'Brien, free-lance che vive tra Dublino e l'Italia, ha scritto per Mondadori e che presenterà oggi alle 19 nello spazio eventi della Banchina Dogana di Alghero, alla vigilia della partenza proprio dalla città catalana dell'edizione numero 100 della corsa in rosa che tanto ama. Un secolo ripercorso attraverso alcuni protagonisti e una selezione di grandi salite: «Non volevo fare un'enciclopedia, non mi interessa e sarebbe stato un libro molto noioso. Ho semplicemente voluto portare il mio contributo alla produzione letteraria su questo grande avvenimento, produzione che giudico piuttosto scarsa soprattutto se rapportata al Tour de France».
Perché proprio il Giro d'Italia?
«Sono un appassionato di ciclismo, è lo sport del quale più mi sono occupato da quando vivo in Italia. E a mio parere è la corsa più bella del mondo, anche del Tour. Che resta comunque la più importante dal punto di vista sportivo, ma proprio per questo è condizionata dalla grande pressione che c'è su un avvenimento di questa portata ed è anche parecchio monotona».
Invece il Giro?
«Il Giro è una festa, l'organizzazione è brillante, il percorso è vario, c'è la montagna, il mare, le isole. E, cosa non trascurabile per chi fa il mio lavoro, trovi sempre qualche posto dove puoi mangiare bene e bere un buon caffè».
Come ha selezionato i personaggi e gli argomenti?
«Intanto non volevo parlare troppo di doping, ne sono occupato spesso partecipando anche a concorsi internazionali, ma in questo caso volevo dare un senso diverso al mio lavoro. Vorrei dire più positivo, ma forse non è il termine più adatto in questo contesto… Non ho nemmenovoluto fare un elenco di figurine, magari con nomi che per la maggior parte sarebbero stati sconosciuti o datati».
Un'edizione del Giro che le è rimasta particolarmente impressa?
«Sicuramente quella dell'anno scorso, ribaltata in pochi secondi dal l'attacco di Vincenzo Nibali dopo la caduta di Kruijswijk e il grande lavoro di Michele Scarponi per il suo capitano. Ho sempre pensato che a vincere il Giro sia stato proprio Scarponi, la sua fine tragica mi ha veramente rattristato».
I suoi campioni preferiti?
«Intanto il mio connazionale Sean Kelly, un fuoriclasse che è rimasto una persona semplice e umile. Poi Francesco Moser, che ho intervistato a casa sua in trentino e mi ha colpito per la pacatezza e la serietà. E Damiano Cunego, che ho amato tantissimo per il suo stile di corsa, un talento che forse ha avuto la sfortuna di vincere troppo presto il Giro».
Cosa pensa di Fabio Aru?
«Un ragazzo molto serio che tutti rispettano per la sua etica lavorativa. Il punto è che è un corridore italiano di grande talento e questo crea molte aspettative nei suoi confronti, ha vinto la Vuelta ma non basta, gli serve qualcosa di più importante: il Giro o il Tour».
Che idea si è fatto della vicenda di Marco Pantani?
«Pantani era un grande corridore figlio di una generazione che faceva uso del doping in maniera massiccia. La sua non è solo una vicenda sportiva ma una storia umana molto triste che soprattutto i giovani dovrebbero conoscere».
Perché la gente dovrebbe ancora appassionarsi al ciclismo nonostante la tante storie di doping?
«Intanto perché il ciclismo non è solo doping, anzi, resta uno degli sport che più si adopera contro il doping. Resta bellissimo perché è emozionante, ti fa vedere il mondo e soprattutto tutti possono capire quello che sta succedendo in gara».