La Nuova Sardegna

«Gli Etruschi e la Sardegna: c'è un ponte tra le due civiltà»

Dario Budroni
«Gli Etruschi e la Sardegna: c'è un ponte tra le due civiltà»

Il soprintendente Francesco Di Gennaro spiega l’eccezionalità della scoperta a Tavolara. «Fitta rete di scambi, un ritrovamento che getta nuova luce sulla nostra storia»

11 gennaio 2018
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OLBIA. Il profumo della storia si intreccia con quello del ginepro e della salsedine. Tavolara è una montagna che sbuca imponente dal mare. Ed è proprio qui, in questa isola che trasuda di armonia e di bellezza, che la scoperta messa a segno dagli archeologi si arricchisce di ulteriore fascino. Sembrava quasi che di Tavolara ormai si sapesse praticamente tutto. Ma non è così. Adesso viene fuori che sull’isola, nel nono secolo avanti Cristo, alcune genti provenienti dall’Etruria, nello specifico si parla della cultura villanoviana, avevano impiantato un loro insediamento. I dettagli sono ancora pochi e tocca agli archeologi mettere insieme le tessere del fragile puzzle della storia. Ma stavolta basta solo una rivelazione per far comprendere l’importanza della scoperta. Il motivo è questo: in Sardegna non erano mai stati trovati i resti di un insediamento di uomini arrivati dell’Etruria. Tanto basta a scatenare la curiosità di tutti, anche di chi di archeologia ci capisce poco o nulla.

Scoperta eccezionale. La campagna di scavi è stata condotta tra il 2011 e il 2013. Un arco di tempo in cui sono spuntati elementi piuttosto interessanti, tra cui alcune tracce risalenti all’Età del rame. Ad annunciare la scoperta dell’insediamento villanoviano, emerso in una fase di revisione dei ritrovamenti, è stato il soprintendente di Sassari e Nuoro Francesco Di Gennaro. L’archeologo, da buon scienziato fedele ai dati, non si lascia andare a facili euforie. «Se è il primo trovato in Sardegna? Sì, ma è un discorso che mi interessa fino a un certo punto. Noi ci serviamo dei dati per fare la storia – commenta il soprintendente –. Anche perché non è detto che sia l’unico insediamento in Sardegna. Magari ce ne sono stati altri che sono andati persi o che non abbiamo ancora trovato». Ma una cosa è certa: la scoperta apre nuovi scenari. «Degli scambi commerciali tra la Sardegna e l’Etruria ne siamo a conoscenza da parecchio tempo – continua Di Gennaro –. Però adesso questa scoperta apre le porta a nuove interpretazioni e ci potrebbero aiutare a capire come avvenivano questi scambi».

Le prime ipotesi. Ma perché un insediamento a Tavolara? «Faccio un esempio. Prendiamo i pescatori, che girano il mare in lungo e in largo: non sempre fanno ritorno a casa ogni giorno. Spesso restano fuori anche per diverso tempo e individuano così un lontano punto d’appoggio – spiega l’archeologo –. E quindi, forse, anche quelle genti dedite agli scambi commerciali avevano bisogno di un punto di appoggio dall’altra parte del mare. Ma per adesso possiamo fare solo ipotesi. I dati, come sempre, li dà l’archeologia».

Fare chiarezza. Il ritrovamento a Tavolara riguarda sì l’Etruria, ma tutto ciò non è da confondere con gli Etruschi conosciuti al grande pubblico. Si parla infatti di cultura villanoviana, arrivata un pochino prima degli Etruschi più famosi. «È un discorso di cronologia – afferma Francesco Di Gennaro –. Stiamo parlando di un periodo precedente». L’insediamento di Tavolara risale inoltre allo stesso periodo in cui la civiltà nuragica stava cominciando a passare dal suo massimo splendore alle prime fasi di decadenza.

Porte aperte. A condurre gli scavi di Tavolara è stata l’archeologa Paola Mancini, mentre il responsabile di zona della Soprintendenza è Rubens D’Oriano. E questo dopo alcuni ritrovamenti di cocci da parte dell’archeolgo Giuseppe Pisanu. A finanziare la campagna di scavi era stata l’Area marina protetta di Tavolara, che aveva messo a disposizione dei volontari e aveva garantito un supporto logistico. «Tavolara è ricca di storia, dal neolitico all’età contemporanea – commenta Augusto Navone, direttore dell’Amp –. E questa nuova scoperta non può che farci piacere. Dà un ulteriore valore all’isola». Non è da escludere che l’Area marina possa nuovamente mettere gli archeologi nelle condizioni di effettuare nuovi scavi o studi. «Noi ci occupiamo di salvaguardia, ma la storia ha sempre una certa importanza – dice Navone –. Se gli archeologi dovessero aver bisogno di approfondire le loro scoperte e magari di scavare ancora noi siamo qui, le nostre porte sono aperte. Siamo pronti ad ascoltare». A sottolineare il ruolo importante dell’Area marina è anche il soprintendente Di Gennaro. «Un grazie va sicuramente all’Area marina, perché ha finanziato questo importante scavo» commenta il soprintendente.

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