Bizzarro e imprevedibile questo Carmelo da Olzai
È in edicola la terza monografia della collana “I maestri dell’arte sarda”. Ritratto a tutto tondo di un pittore la cui casa è diventata un museo nel 2003
Come parlare di Olzai senza nominare la chiesa di Santa Barbara, che custodisce il Retablo della peste del Maestro di Olzai? Allo stesso modo, non è possibile parlare di Olzai senza Carmelo Floris, semplicemente perché è inseparabile dal suo paese: per questo Mario Delitala lo chiamava “Carmelo da Olzai”, in assonanza con l’autore quattrocentesco, quasi a rimarcarne l’ideale filiazione. Quando nell’antica chiesetta inginocchiati servivamo la messa, a noi bambini non occorreva più alzare lo sguardo sul Retablo della peste di cui avevamo imparato ogni minuto particolare; preferivamo soffermarci trasognati sui fiori di mandorlo che coronavano l’effigie di Santa Sofia ritratta da Carmelo Floris: perché il mandorlo di Olzai è solo di Olzai, senza uguali in nessun’altra parte del mondo.
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Nella penombra di quelle antiche navate si celebrava il momento più dolente della Settimana santa, trasfigurato dall’artista di Olzai in sacra rappresentazione, dove il Cristo sulla via del Calvario è la sola figura reale in carne e ossa, attorniato dai confratelli della Santa Croce che, nelle loro vesti bianche, appaiono come figuranti. In una delle sue visite a Olzai, a pochi chilometri dall’abitato Joyce Lussu fu accolta dal pittore alla guida di un calesse trainato da un cavallo dalla fronte prominente, curiosamente assorto e incredibilmente somigliante al suo padrone. L’arguta osservazione dell’illustre ospite in un certo senso corrisponde all’opinione dei compaesani, che consideravano l’artista non meno bizzarro e imprevedibile del suo pensoso cavallo. Per questo restavano guardinghi e diffidenti quando, osservandolo armato di matita e pennello, con rapidi gesti cercava di catturare qualche soggetto da riportare sul taccuino o sulla tela. Perciò si era meritato l’appellativo di su tziu hi pintat sos tzieddos, l’uomo che ritrae i vecchietti. Qualcuno, quando si recava in visita a casa sua, quasi cercando una difesa se ne lamentava con la moglie: Sennora Marì, mi hi Sennoscarmelo m’est retratande, Signora Maria, guardi che Signor Carmelo mi sta facendo il ritratto. E visto che non c’era nulla da fare, il malcapitato lasciava correre, con espressione rassegnata non senza un pizzico di compiacimento. La sua casa, così ben collocata tra il bosco e l’abitato sul dorso del rione S’Umbrosu, era aperta a tutti, amici e visitatori sconosciuti sempre accolti con generosa e signorile ospitalità: «La mia casa ha quattro porte, e sono sempre aperte».
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Quella dimora, trasformata in museo nel 2003, conserva ancora la suggestione della vita quotidiana dei suoi abitanti, già dal cortile con la stanza del forno sull’angolo, e poi nell’ampia cucina con il grande camino, nella successione delle sale alle cui pareti sono ben collocati i bozzetti, le magistrali incisioni, i paesaggi e i ritratti. Eppure la sorpresa giunge solo a fine visita, non in un cantuccio remoto ma nella parte più esposta della casa. Per completare il lavoro, il pittore si rifugiava nel suo laboratorio, raggiungibile da una scaletta ripida che conduceva al sottotetto. Lo studio è rimasto intatto, somigliante a una torretta di avvistamento, per niente angusto e ben illuminato da ampie finestre sui due lati che danno sulla montagna e sui tetti delle case più basse sul versante dell’arginamento. Ogni oggetto è esattamente al suo posto, come se il pittore l’avesse lasciato lì pochi istanti prima: il cavalletto, la tavolozza con i pennelli, il torchio, il manichino di legno, la sedia e i libri sistemati a caso nel piccolo scaffale. A giudizio di Stanis Dessy, il pittore di Olzai talvolta esprime nel ritratto uno stile rude e aggressivo, che invece nel paesaggio si stempera in tenerezza: un dualismo stilistico e caratteriale, come traccia interpretativa del fenomeno per cui i ritratti trovano come soggetti quasi esclusivamente donne e ragazze di Ollolai, al contrario dei paesaggi prevalentemente raffiguranti le case e le strade di Olzai e le campagne circostanti. Secondo Antonio Corriga, ognuno di quei paesaggi componeva una straordinaria gamma cromatica, rappresentata dai contrasti grigi dei graniti, dalle trasparenze dei mandorli fioriti e tremolanti a primavera, dalle ocre dorate dei campi arsi dal sole d’agosto, lo stesso mese in cui Carmelo Floris scomparve sessant’anni fa.
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