Cabras, pesca sportiva vietata dall’ordinanza: dopo il ricorso, il Tar dà ragione ai pescatori
Il documento del sindaco, che bloccava l’attività lungo il rio Tanui e sul primo ponte situato sullo stesso canale in via Tharros, era stato emesso per tutelare l’incolumità di coloro che praticano l’attività di canoa. Ora il Comune dovrà pagare le spese legali
Cabras Il tribunale amministrativo dà ragione ai pescatori sportivi. Ordinanza annullata, il Comune dovrà farsi carico del pagamento delle spese di lite, quantificate in millecinquecento euro, e di quelle accessorie. Il Tar Sardegna ha accolto il ricorso presentato da alcuni pescatori sportivi e dalla “Libera associazione pescatori sportivi” contro il Comune, rappresentato dal sindaco Andrea Abis, difeso dagli avvocati Carlo Barberio, Angelo Frediani e Gianni Maria Saracco, nei confronti del Circolo nautico di Oristano, il quale non si è costituito in giudizio. Oggetto del contendere: l’ordinanza sindacale dell’11 gennaio 2024, che stabiliva il divieto di pesca sportiva lungo il rio Tanui nel tratto di competenza del Comune e sul primo ponte situato sullo stesso canale in via Tharros, motivata con ragioni di tutela dell’incolumità di coloro che praticano l’attività di canoa. La sezione prima del Tribunale amministrativo regionale, composta dai magistrati Marco Buricelli (presidente), Oscar Marongiu, (consigliere, estensore) e Gabriele Serra (primo referendario), harigettato l’istanza comunale di inammissibilità del ricorso perché «l’ordinanza impugnata, inibendo l’esercizio della pesca sportiva, lede in maniera immediata e diretta gli interessi dei ricorrenti, pescatori sportivi». Poi ha accolto pienamente, nelle motivazioni, quanto affermato dagli stessi pescatori. Nell’ordinanza sono stati riscontrati «eccesso di potere per falsità del presupposto e difetto di istruttoria e di motivazione» e «insussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza sindacale», in quanto «ciò che ha fondato la decisione del sindaco di provvedere all’interdizione dell’attività di pesca sportiva, non sarebbe un pericolo imminente e inevitabile per l’incolumità pubblica, ma unicamente il fatto che potrebbero verificarsi degli attriti tra i fruitori del bene, viste anche le lamentele pervenute agli uffici comunali, e che l’attività di pesca possa rendere difficoltosa e rischiosa “la pratica del canottaggio”». I magistrati sottolineano che «l’irragionevolezza della decisione emergerebbe anche dal fatto che la limitazione riguarda soltanto i pescatori sportivi e non invece i pescatori professionisti, che operano nel medesimo tratto di canale, sicché basterebbe ai ricorrenti munirsi dell’apposito patentino per riprendere a pescare indisturbati nel tratto interdetto». Inoltre «il sindaco ha regolamentato sine die, una materia (la pesca) che esula completamente dalle sue attribuzioni». Non solo: l’ordinanza costituisce «una violazione del principio di proporzionalità e dell’articolo 97 della Costituzione». «Le considerazioni richiamate dal sindaco nell’ordinanza – motiva il Tar – non sarebbero tali da giustificare un provvedimento grave quale la totale interdizione dell’attività ai pescatori sportivi, ma avrebbero dovuto indurre a adottare eventualmente provvedimenti proporzionati al danno».