Lingua blu: «Duecento agnelli morti, ma gli aborti non vengono conteggiati»
Appello degli allevatori alla Regione per il monitoraggio di gravidanze e perdite
Palmas Arborea «Chiedo alla classe politica di monitorare attraverso le Asl la condizione delle pecore gravide e di considerare anche i casi di aborto come mancato reddito: per le aziende sono fonte di gravi perdite». Giuseppe Meloni, allevatore 35enne di Palmas Arborea possiede un allevamento di 700 capi ovini. Ha vaccinato il gregge contro la lingua blu poco prima di Ferragosto e qualche giorno dopo si sono manifestati i primi casi di febbre catarrale. In questi due mesi e mezzo l’allevatore ha riscontrato gravi effetti collaterali nei capi che hanno contratto la malattia, a cominciare da un alto numero di aborti (circa 200).
Altri agnelli sono nati con malformazioni e c’è stata una sensibile riduzione o interruzione della produzione del latte negli esemplari che hanno abortito o hanno partorito agnellini morti: «La situazione è drammatica, purtroppo la malattia si è manifestata con grande anticipo rispetto ad altri anni e questo, più il persistere delle alte temperature, credo stia contribuendo alla diffusione dell'infezione» afferma Meloni. «Le conseguenze peggiori le subiscono le pecore gravide perché molte di loro abortiscono. Sulla causa ci sono pochi dubbi, perché ho fatto analizzare tutti i feti all’istituto zooprofilattico, dove hanno escluso qualunque altra possibile malattia. L’impatto è devastante. Nel 2022 in azienda sono morte una sessantina di pecore, ma vedere la sofferenza fisica di una pecora che ha perso l’agnello prima del termine della gestazione o che lo ha partorito già morto è quasi peggio del decesso della stessa pecora. Lo è – racconta – per l'impatto psicologico, oltre che per il danno materiale».
Le conseguenze dell’interruzione di gravidanza o di un esemplare che partorisce l’agnellino morto sono molteplici: «Se le pecore non portano a termine la gestazione perdono il latte e rimangono improduttive tutto l’anno, inoltre c'è una percentuale di rischio di sterilità o di difficoltà nella rimonta. L’allevatore – spiega Meloni – subisce una perdita economica rilevante, quei capi rimangono in azienda e hanno bisogno di essere alimentati e seguiti». Inoltre, «vanno trattati con antibiotici perché spesso la perdita del feto provoca infezioni. Se invece la pecora partorisce un agnellino morto e non si ha un giovane esemplare con cui rimpiazzarlo, o la pecora non accetta di allattarlo, si riduce la produzione del latte». Per gli allevatori è un doppio danno economico dovuto alla mancata vendita degli agnelli e alla diminuzione del latte. In questo caso «gli allevatori devono comunicare alle Asl solo i capi morti», denuncia l’allevatore. Dunque, sottolinea: «Non so se si stia facendo una stima del numero di aborti, nel mio allevamento molte pecore non hanno ancora partorito e io non so quali siano gravide e quante di loro eventualmente riusciranno a portare a termine la gestazione. È una situazione di grande d’incertezza». Un concetto ribadito anche dall’allevatore di Oristano Tonino Tolu: «Gli aborti non vengono certificati. Da 24 anni diciamo che i vaccini non servono».