La Nuova Sardegna

Il futuro è il passato che si ripete

Piero Mannironi
Il futuro è il passato che si ripete

Solo sei anni fa l'incomprensibile addio della Us Navy all'arcipelago

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 LA MADDALENA. Le agenzie batterono la notizia alle 20,47 del 23 novembre 2005. Un flash di appena cinque righe: «I sommergibili americani di Santo Stefano, La Maddalena, saranno trasferiti fuori dal territorio nazionale della Base, secondo tempi e modi che dovranno essere definiti più avanti. Lo ha concordato il ministro della Difesa Antonio Martino nell'incontro con il suo collega Usa Donald Rumsfeld». Una decisione improvvisa, inattesa, soprattutto senza una vera spiegazione. Lo stesso ministro Martino, che si trovava in visita ufficiale a Washington, rimase completamente spiazzato. Perché la decisione era stata unilaterale, senza una trattativa con il governo italiano, senza un percorso concordato.  Martino, che aveva difeso la base della Us Navy dall'offensiva politica asfissiante dell'allora governatore della Sardegna Renato Soru, si trovò in serio imbarazzo. Proprio lui, che negli ambienti romani veniva chiamato con sarcasmo l'Americano per le sue dichiarate simpatie per gli Stati Uniti, era stato tenuto all'oscuro di tutto fino all'ultimo minuto. L'addio tra la Us Navy e La Maddalena si consumò così in un modo quasi surreale, senza strappi polemici, tra sorrisi e ringraziamenti, 34 anni dopo l'arrivo dell'incrociatore Springfield nell'arcipelago, sulla base di un accordo segreto bilaterale (mai ratificato dal Parlamento) firmato dall'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La storia della base d'appoggio per sommergibili a propulsione nucleare di Santo Stefano, nel bene e nel male, aveva segnato la storia della Maddalena e di tutta la Sardegna. Una storia fatta di terribili scontri politici e di tensioni inaudite, ma anche di paure, segreti e misteri mai chiariti del tutto. Come gli incidenti ai sommercibili atomici SNN-653 Ray nel 1977 e SNN-768 Hartford nel 2003.  Niente, si diceva, faceva presagire la dismissione della base. Prima di tutto perché la Us Navy aveva cominciato i lavori di potenziamento delle strutture, con un investimento da quasi 40 milioni di dollari. Poi, come se non bastasse, proprio nell'autunno del 2005 il presidente della Regione Renato Soru aveva rivelato di avere in mano un piano segreto della Marina americana, secondo il quale Santo Stefano avrebbe dovuto trasformarsi in una base navale capace di fornire assistenza a un numero maggiore di sommergibili e a naviglio di superficie a propulsione nucleare».  Dunque, quell'improvviso addio resta ancora un mistero. C'è infatti un documento che fa pensare a una decisione maturata a Washington molto rapidamente, senza coinvolgere neppure il governo italiano. Si tratta della relazione del generale James L. Jones, comandante delle forze americane in Europa, trasmessa il primo marzo 2005 al Senato e, ai primi di luglio, alla Brac (Defense Base Closure and Realignment Commission). Cioé quella commissione formata da militari, tecnici e membri del Congresso che periodicamente verifica la compatibilità tra le esigenze strategiche del Pentagono e i problemi di bilancio. Ebbene, scriveva Jones: «Per la Maddalena e per la base di Rota, in Spagna, è cominciato il processo di ricapitalizzazione nel lungo periodo». In altre parole, mentre Napoli, Sigonella e Souda Bay (Grecia) erano nelle condizioni ottimali per «supportare una flessibilità e un'alta capacità logistica» le altre due hanno necessità di un forte intervento finanziario per renderle più rispondenti alle nuove esigenze strategiche nel quadrante Mediterraneo. D'altra parte, i lavori di ristrutturazione e di potenziamento in corso a Santo Stefano sono la conferma che, nel grande e drammatico gioco del Risiko della realtà, La Maddalena doveva adeguarsi agli standard operativi richiesti dai "cervelloni" del Pentagono.  In questo contesto si spiegava il progetto di potenziamento della base, confezionato in gran segreto dalla Usnaveur (cioé la Marina Usa in Europa) e al quale aveva sovrainteso in prima persona il comandante della VI Flotta, ammiraglio Harry G. Ulrrich III.  Il Pentagono cercò di motivare la partenza della Us Navy dalla Maddalena con una serie di comunicati, a dir la verità, anodini. Eccone uno, firmato da un alto ufficiale, tale Joe Carpenter: «La decisione è un risultato del riallineamento della impostazione della difesa degli Stati Uniti su scala globale ed è parte degli sforzi in corso per la trasformazione della Us Navy nel teatro europeo». E proprio qualche giorno prima il Pentagono aveva detto che la base non sarebbe stata cancellata, ma «trasferita in un altro paese». Si parlò addirittura esplicitamente del golfo di Adana, in Turchia, vicino alla base aerea Usa di Incirlik.  Qualcuno in quei giorni notò che la base di Santo Stefano era nata nel 1972 in base a un misterioso accordo segreto e che veniva cancellata in base a una misteriosa decisione unilaterale.  Nella lunga storia di verità non dette della base Usa alla Maddalena tutto è dunque è sembrato possibile. Perciò, alla luce del fatto che la dismissione (nella sua sostanza e nelle sue modalità) non è stata mai spiegata chiaramente, è legittimo cercare di rileggere alcuni fatti, apparentemente marginali. Come le dichiarazioni del 12 giugno 2005 di Renato Soru. «Ho incontrato l'ambasciatore americano Mel Sembler - disse il governatore - il quale mi ha detto che quello della Maddalena è un problema legato a rapporti diretti tra Roma e Washington. Ma io credo che oggi la presenza americana a Santo Stefano non sia più un tabù». Impossibile non mettere in relazione queste dichiarazioni con l'incontro riservatissimo, avvenuto due settimane prima a Cagliari, tra Renato Soru e l'influentissimo analista del Dipartimento di Stato Usa e del National Security Council, Edward Luttwak. Ebreo di origine romena, Luttwak è un "falco" che riesce a influenzare pesantemente da anni la politica militare statunitense. È lecito oggi pensare che abbia avuto un ruolo nell'addio della Us Navy dall'arcipelago.  Ora il passato ritorna. Quella di smilitarizzare La Maddalena per cominciare a costruire un'economia di pace sembra sempre di più una illusione. La riconversione gestita dalla "cricca", fatta di appalti gonfiati, ruberie, favori e bonifiche non fatte ha ucciso molti sogni. E l'arcipelago più bello del Mediterraneo rischia così di scivolare ancora una volta verso un destino governato dalle "stellette". Un destino già conosciuto di sussidiarietà e di pericoli reali, ma sempre ostinatamente negati.  

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