La psichiatra: Frigeri da indagato a giudice
La lettera di discolpa inviata dal carcere passata ai raggi X sotto il profilo clinico dalla specialista Noemi Sanna
SASSARI. «Ci sono alcune frasi, nella lettera dal carcere di Angelo Frigeri, che richiamano più le considerazioni di un giudice o di un censore che quelle di un indagato». La psichiatra sassarese Noemi Sanna mette l’accento soprattutto su questo punto. Chiamata a passare ai raggi X sotto il profilo strettamente clinico-scientifico le affermazioni fatte in due paginette di quaderno dal giovane in cella per la strage di Tempio, sottolinea subito quel che la colpisce come professionista. E cioè il punto dove l’accusato testualmente afferma: «Mi dispiace per la morte di tre persone, tra cui un bambino innocente che ha solo pagato le colpe del padre». «Ecco, in questo caso avverto l’ansia di chi vuole avanzare comunque una giustificazione per quel che è successo, ed è un’analisi che io mi sento di compiere indipendentemente dal fatto che l’estensore della lettera possa essere coinvolto oppure no nell’orrendo crimine – spiega Noemi Sanna – Ma il risultato che se ne ricava sul piano tecnico per chi studia una frase del genere è quello che chi fa queste dichiarazioni si sostituisce ai magistrati che devono giudicare le responsabilità della tragedia».
Antefatto e premesse. L’altra mattina, dal penitenziario sassarese di Bancali dov’è rinchiuso dal 18 maggio scorso, Angelo Frigeri ha fatto pervenire alla “Nuova” una serie di risposte alle contestazioni che gli si muovono. Una raffica di accuse specifiche, quelle dei carabinieri e della Procura di Tempio guidata da Domenico Fiordalisi, che lo chiamano in causa per il triplice omicidio di Giovanni Azzena, della moglie Giulia Zanzani e del loro figlio dodicenne Pietro.
Frigeri continua a proclamare la sua estraneità rispetto alla carneficina. E di sicuro a stabilire la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, com’è chiaro, sarà un domani la magistratura.
Metodologie di analisi. Ma nel frattempo è certo rilevante la valutazione che uno psichiatra come Noemi Sanna dà sulle affermazioni messe per iscritto dallo stesso Frigeri. «E tutto ciò senza entrare nel modo più assoluto nel merito della vicenda, senza intervenire sulla questione se Angelo Frigeri sia o no responsabile e senza la pretesa di anticipare giudizi o sostituirmi a chi lo deve giudicare in aula per questo», tiene a sottolineare con fermezza la psichiatra. Quindi, nessun processo a mezzo stampa: soltanto l’analisi dettagliata del testo redatto da un accusato da parte di un’esperta. Infatti per l’indagato Frigeri vale, così come per tutte le persone nella sua posizione in questa fase di un’inchiesta, il principio di non colpevolezza garantito dall’ordinamento giuridico.
Accuse respinte. “Non sono stato io, ma mi dispiace per l’accaduto perché sono morte tre persone”, sostiene nella lettera l’accusato. «Frigeri in realtà, pur avendo fornito - secondo quanto è trapelato - versioni contraddittorie, non ha mai detto di essere lui il responsabile della strage né di di essere pentito – commenta Noemi Sanna – Qui continua nel suo atteggiamento di negazione. E pare voler prendere le distanze ulteriormente. Perché certo non lo ha lasciato indifferente la reazione della gente per un crimine tanto efferato. Così come non può non avvertire, nonostante l’isolamento in carcere, il clima di tensione da parte degli altri detenuti che spesso in un penitenziario circonda chi è accusato di certi reati».
Il piccolo Pietro. «Quando poi parla del bambino, l’autore della lettera pare voler diluire le responsabilità - di chiunque, direi - nella fine di Giovanni Azzena, sostenendo che Pietro ha pagato per le colpe del padre – precisa la psichiatra – È una sorta di rimozione dei fatti e della loro atrocità, quasi un voler cercare una giustificazione per l’accaduto, al di là della negazione di un qualsiasi ruolo nella vicenda».
La volontà di reagire. «Le affermazioni con cui Angelo Frigeri spiega di non avere mai fatto uso di droghe e di non avere segni di colluttazioni sul corpo appartengono invece all’esigenza di organizzare una “difesa strutturata”, esigenza sentita da qualsiasi persona in carcere, innocente o colpevole», puntualizza la psichiatra concludendo la sua analisi.
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