Botte, insulti e minacce: matrigna sassarese va a processo
di Nadia Cossu
Denunciata dai tre figliastri: «Ha bruciato l’abito da sposa di nostra madre»
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SASSARI. Quell’abito da sposa che la loro madre aveva indossato il giorno del suo matrimonio lo conservavano gelosamente. Era uno dei pochi ricordi rimasti in casa dopo la morte della donna. Una sorta di cimelio da custodire con cura e magari da guardare di tanto in tanto quando la malinconia e la nostalgia penetravano tra le mura domestiche. E capitava spesso, da quando anche il loro padre – che dopo esser rimasto vedovo si era risposato – era deceduto.
Ma quell’abito a un certo punto si è trasformato in un cumulo di cenere, dato alle fiamme dalla loro matrigna in un momento di rabbia. Uno dei tanti, a quanto pare.
A leggere le accuse contenute nella richiesta di rinvio a giudizio per una 63enne di un paese del Sassarese verrebbe quasi da ricredersi sulla impareggiabile crudeltà della matrigna di Cenerentola. In questa vicenda approdata davanti a un giudice del tribunale di Sassari sicuramente manca la magia del lieto fine della celebre fiaba dei fratelli Grimm: niente zucche che si trasformano in carrozze, niente scarpette di cristallo e nemmeno principi azzurri. Qui ci sarebbero botte, insulti, offese e minacce.
Oltretutto, la “cenerentola” è più d’una. Per la precisione due sorelle e un fratello (tra i 22 e i 29 anni) che in seguito alla morte del padre avrebbero vissuto le pene dell’inferno. Il condizionale è d’obbligo perché il processo è in corso.
Di sicuro la donna è finita a giudizio per maltrattamenti in famiglia, violenza privata e calunnia. Quest’ultima accusa si riferisce a un episodio in particolare: avrebbe cioè denunciato alla stazione dei carabinieri due zii dei figliastri incolpandoli di sottrazione di minori «pur consapevole della loro innocenza» – scriveva il pubblico ministero – considerato che la ragazza, all’epoca ancora minorenne, era letteralmente scappata di casa per rifugiarsi dagli zii in seguito alla (presunta) violenza della matrigna.
In particolare, stando agli episodi elencati nel capo di imputazione, la più piccola dei tre fratelli sarebbe stata «strattonata e malmenata» dalla matrigna e per questo sarebbe fuggita. Probabilmente non riusciva più a sostenere il peso di un ambiente familiare tanto ostile.
Il clima nell’abitazione sarebbe stato infatti invivibile per anni. L’imputata, oltre all’abito da sposa della mamma dei tre, avrebbe bruciato anche le fotografie delle prime nozze del marito e gli oggetti personali dei genitori dei ragazzi.
E sarebbe arrivata, sempre secondo le accuse, anche a costringere le due figliastre, rimaste a vivere con lei, «a saziarsi degli avanzi del ristorante dove la più grande lavorava, nascondendo le provviste in un armadio di cui esclusivamente lei deteneva le chiavi». Il figliastro, invece, peraltro non autosufficiente dal punto di vista economico, sarebbe stato cacciato di casa «e obbligato in via definitiva a chiedere ospitalità ai parenti e ai genitori della fidanzata».
Ma le incriminazioni non finiscono qui. La matrigna, infatti, durante gli anni successivi alla morte del marito avrebbe «imposto ai figliastri di accettare i vari uomini portati a casa, costringendo le due ragazze a chiamarli “babbo” o “papà”». Si sarebbe inoltre appropriata «dei beni e dei danari ereditati in comproprietà con i tre».
I ragazzi erano spesso obbligati anche a sbrigare le faccende di casa, che comprendevano le pulizie e la preparazione di pranzi e cene e sarebbe stato impedito loro persino di frequentare i parenti.
Episodi e accuse che il processo davanti al giudice Elena Meloni sta ripercorrendo attraverso esame e controesame dei vari testimoni citati durante il dibattimento. I tre giovani si sono costituiti parte civile con gli avvocati Bastianino Ventura e Annamaria Ajello, mentre l’imputata è difesa dall’avvocato Pietro Diaz.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Ma quell’abito a un certo punto si è trasformato in un cumulo di cenere, dato alle fiamme dalla loro matrigna in un momento di rabbia. Uno dei tanti, a quanto pare.
A leggere le accuse contenute nella richiesta di rinvio a giudizio per una 63enne di un paese del Sassarese verrebbe quasi da ricredersi sulla impareggiabile crudeltà della matrigna di Cenerentola. In questa vicenda approdata davanti a un giudice del tribunale di Sassari sicuramente manca la magia del lieto fine della celebre fiaba dei fratelli Grimm: niente zucche che si trasformano in carrozze, niente scarpette di cristallo e nemmeno principi azzurri. Qui ci sarebbero botte, insulti, offese e minacce.
Oltretutto, la “cenerentola” è più d’una. Per la precisione due sorelle e un fratello (tra i 22 e i 29 anni) che in seguito alla morte del padre avrebbero vissuto le pene dell’inferno. Il condizionale è d’obbligo perché il processo è in corso.
Di sicuro la donna è finita a giudizio per maltrattamenti in famiglia, violenza privata e calunnia. Quest’ultima accusa si riferisce a un episodio in particolare: avrebbe cioè denunciato alla stazione dei carabinieri due zii dei figliastri incolpandoli di sottrazione di minori «pur consapevole della loro innocenza» – scriveva il pubblico ministero – considerato che la ragazza, all’epoca ancora minorenne, era letteralmente scappata di casa per rifugiarsi dagli zii in seguito alla (presunta) violenza della matrigna.
In particolare, stando agli episodi elencati nel capo di imputazione, la più piccola dei tre fratelli sarebbe stata «strattonata e malmenata» dalla matrigna e per questo sarebbe fuggita. Probabilmente non riusciva più a sostenere il peso di un ambiente familiare tanto ostile.
Il clima nell’abitazione sarebbe stato infatti invivibile per anni. L’imputata, oltre all’abito da sposa della mamma dei tre, avrebbe bruciato anche le fotografie delle prime nozze del marito e gli oggetti personali dei genitori dei ragazzi.
E sarebbe arrivata, sempre secondo le accuse, anche a costringere le due figliastre, rimaste a vivere con lei, «a saziarsi degli avanzi del ristorante dove la più grande lavorava, nascondendo le provviste in un armadio di cui esclusivamente lei deteneva le chiavi». Il figliastro, invece, peraltro non autosufficiente dal punto di vista economico, sarebbe stato cacciato di casa «e obbligato in via definitiva a chiedere ospitalità ai parenti e ai genitori della fidanzata».
Ma le incriminazioni non finiscono qui. La matrigna, infatti, durante gli anni successivi alla morte del marito avrebbe «imposto ai figliastri di accettare i vari uomini portati a casa, costringendo le due ragazze a chiamarli “babbo” o “papà”». Si sarebbe inoltre appropriata «dei beni e dei danari ereditati in comproprietà con i tre».
I ragazzi erano spesso obbligati anche a sbrigare le faccende di casa, che comprendevano le pulizie e la preparazione di pranzi e cene e sarebbe stato impedito loro persino di frequentare i parenti.
Episodi e accuse che il processo davanti al giudice Elena Meloni sta ripercorrendo attraverso esame e controesame dei vari testimoni citati durante il dibattimento. I tre giovani si sono costituiti parte civile con gli avvocati Bastianino Ventura e Annamaria Ajello, mentre l’imputata è difesa dall’avvocato Pietro Diaz.
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