La Nuova Sardegna

Luigi Berlinguer: «Impeachment a Cossiga, fu una richiesta avventata»

di Alessandro Pirina
Luigi Berlinguer: «Impeachment a Cossiga, fu una richiesta avventata»

L’ex ministro critico con l’allora Pds: «Su certe decisioni bisogna pensarci 6 volte» Sul dopo Mattarella: «Vorrei una donna. Draghi ottimo premier: resti dov’è»

10 gennaio 2022
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SASSARI. Muove i primi passi in politica quando è poco più di un ragazzino. A 20 anni, nel 1952, Luigi Berlinguer è già membro della direzione nazionale del Pci. Seguirà un lunga carriera tra Parlamento e università, ministero e Csm, senza mai dimenticare la sua Sassari, dove è nato nel 1932 e dove ha iniziato il cursus honorum che lo ha portato ai vertici dello Stato. Berlinguer è, dunque, un grande conoscitore delle vicende del Quirinale. Da grande elettore o comunque da persona “informata” sui fatti.

Professor Berlinguer, nel 1962 viene eletto capo dello Stato il suo concittadino Antonio Segni: che ricordo ha della sua presidenza?
«Antonio Segni è stato una personalità di rilievo, non si può assolutamente negare. Rappresentava un partito, la Dc, con cui ero in disaccordo netto, e anche una corrente interna abbastanza moderata, ma era una figura decisamente autorevole non solo a Sassari - la sua città che era anche la mia - ma in tutto il Paese. Segni non è stato solo presidente della Repubblica ma ha ricoperto numerose cariche pubbliche di primo ordine. Non ero d’accordo con lui né sulla politica nazionale né su quella locale, ma era un sassarese di spicco della politica italiana».

Nel 1963 lei viene eletto deputato, un anno dopo Segni si dimette e al Colle sale Giuseppe Saragat, l’elezione più contrastata di sempre arrivata solo al 21esimo scrutinio. Come visse lei quella battaglia parlamentare?
«Non finiva mai. Allora sembrava una anomalia che il capo dello Stato non dovesse essere un Dc. Ma socialisti e socialdemocratici vollero dimostrare il contrario».

Il Pci però non votò Saragat.
«Non lo votammo perché era veramente un moderato. Ci lasciava stupiti il fatto che il Psdi venisse considerato sinistra, era abbastanza singolare».

Il Pci aveva sempre il suo candidato di bandiera, in quel caso fu Umberto Terracini: ai tempi l’elezione di un comunista era considerata una chimera?
«Terracini aveva avuto un ruolo nella Costituente, era una figura straordinaria. Noi speravamo sempre nella elezione di un comunista al Quirinale, che è cosa diversa dal crederci. Ma quello era l’atteggiamento corretto, allora coerente. È vero che il presidente della Repubblica è una carica particolare, diversa dal presidente del Consiglio, ma effettivamente allora la politica italiana tendeva a considerare la Dc come un male necessario per il Paese».

C’è mai stato un comunista che ha avuto qualche chance di salire al Colle? Nilde Iotti?
«Nilde Iotti ha avuto un ruolo importante in Parlamento, ma per eleggere il presidente della Repubblica devi avere la maggioranza. E il Pci - ahimè - non ha mai raggiunto la condizione di maggioranza».

Dopo una legislatura lei torna all’Università, al Quirinale arriva Giovanni Leone: un mandato culminato nelle dimissioni. Il Pci fu tra i principali avversari: dopo oltre 40 anni come giudica la sua presidenza?
«Giovanni Leone non era solo un Dc, ma rappresentava la destra, la conservazione. La sua figura non è paragonabile a quella di Cossiga, che ha avuto anche le sue caratteristiche talvolta originali, ma non era un moderato-moderato. Leone sì, la sua elezione fu la rivincita della destra».

Beppe Pisanu ha raccontato alla Nuova che la candidatura di Leone fu l’ultimo espediente dei dorotei per bloccare quella – parole dell’ex ministro – più significativa di Aldo Moro.
«Aldo Moro era una persona illuminata che aveva iniziato nella Dc, con qualche iniziale successo, un processo che tendeva a rompere il dualismo con il Pci. I suoi avversari volevano collocare tutta la Dc a destra. Moro non era di questa idea e ha infatti pagato caro».

Nel 1978 viene eletto Sandro Pertini, socialista ma più vicino a Berlinguer (Enrico) che a Craxi: era davvero così?
«Questi sono pettegolezzi, ma è vero che la segreteria di Craxi non era connotata solo come socialista. All’interno del Psi Craxi era uno che non favoriva il processo di Moro, ovvero di evoluzione della politica italiana di allargarsi ai comunisti. Craxi era una personalità davvero rilevante, ma aveva un animo non amichevole verso i comunisti. Lui credeva nella centralità socialista che escludeva il Pci».

E Pertini?
«No, lui era molto figlio della Resistenza. Tutta la sua vita politica prendeva ispirazione dalla sua attività nella lotta di Liberazione da cui non si potevano escludere i comunisti, che erano la forza maggiore della Resistenza. Lui era uno abituato a collaborare con i comunisti».

Nel 1985 Francesco Cossiga eletto al primo scrutinio. Pisanu sostiene che la scelta di De Mita e Natta ebbe forti resistenze nella sinistra Dc e nel Pci. Conferma?
«Ha ragione Pisanu. La scelta di Cossiga fu però dovuta alla caratterizzazione che lui aveva dato a stesso. Cossiga è una figura arrivata alle più alte cariche e - Sassari lo deve ricordare – è stato uno statista italiano a tutto tondo. Lui voleva portare la Dc su una posizione più illuminata della tradizionale forza conservatrice che aveva rappresentato, per esempio, Segni».

Al Quirinale Cossiga scelse suo fratello Sergio come segretario generale della Presidenza.
«Mio fratello era un diplomatico di carriera. Ed era anche un sassarese e un Dc come Cossiga».

Con Cossiga avevate un rapporto di vecchia data, anche di parentela: come visse la fase delle picconate e la conseguente richiesta di impeachment votata dal Pds, il suo partito?
«Mah! Io penso che prima di prendere certe decisioni bisogna pensarci sei volte. L’impeachment è un provvedimento molto pesante. Certo può capitare, ma è una scelta che va ben ponderata prima di farla».

Nel 1994 ritorna in Parlamento, al Quirinale c’è Oscar Luigi Scalfaro, un presidente conservatore ma inviso al centrodestra e a Berlusconi soprattutto. Anche per voi del centrosinistra furono anni turbolenti.
«Scalfaro era un signore di vecchia data, caratterizzato da una non discriminazione preconcetta. A differenza di Berlusconi, la cui posizione è sempre stata antitetica a qualsiasi idea di sinistra. La sua era una posizione radicalmente di destra. E anche ora è così. Non si pensi che Berlusconi possa essere quella figura che ora lui tende ad accreditare per ambizione. Quella non è la sua storia, che invece è di discriminazione a sinistra. Quello che ha lui in testa è un cammino impervio e improprio e nella sinistra c’è una posizione nettamente contraria».

Nel 1999 Carlo Azeglio Ciampi passa al primo turno: di chi fu il merito di questo successo?
«Ciampi aveva la fisionomia della presidenza della Repubblica. Era una figura rispettata e quindi per il Quirinale questa è una caratteristica forte. Inoltre, non era un professionista della politica e questo lo aiutava».

Nel 1993 lei era stato ministro per un giorno del governo Ciampi.
«Ciampi mi chiamò ma poi dovemmo dimetterci il giorno dopo per una votazione contraria della Camera alla autorizzazione a procedere per Craxi. Fu una sciocchezza madornale che bloccò la nascita di qualunque operazione politica. Purtroppo gli estremismi spiccioli capitano in tutti i partiti. Fu una mancanza di strategia, un dispetto che il Pds poi pagò».

Lei lascia il Parlamento per andare al Csm e nel 2006 non vota per Giorgio Napolitano. Che effetto le fece vedere un ex comunista sul Colle?
«Napolitano ha una biografia particolare anche all’interno del Pci. Si era qualificato come una figura di spicco al punto che ha raggiunto tutte le massime cariche. Napolitano spiccava nel Pci ma anche nel Paese. La sua elezione al Quirinale significava che l’ex Pci era ormai dentro la politica, non era soltanto opposizione, ma era diventata una delle forze del gioco democratico. È stato un passo avanti molto importante. Ma questa è sempre stata la sostanza della politica del Pci, mai stata barricadera e per questo criticata dai nostri estremisti che si opponevano alla nostra politica della ragionevolezza, facendo più danno della grandine».

Da uomo di sinistra come visse l’elezione del 2013 con Marini e Prodi silurati dai franchi tiratori? Luigi Zanda ha detto: impossibile sapere chi fossero, ma erano di certo organizzati.
«Fu un incidente che contraddice quanto le ho detto finora. Il Pci era sempre stato una forza di opposizione, ma mai eversivo. Alcuni però lo volevano così. Concordo con Zanda: i franchi tiratori erano organizzati, c’era anche un momento di crisi generale nel Pd. Cose che allora non erano chiarissime e poi sono emerse».

Giorgio Napolitano fu costretto al bis dai partiti incapaci di eleggere un successore. Lei conosce bene il presidente emerito: come visse quella fase?
«Male, lui aveva già fatto i bagagli. Fu costretto a restare al Quirinale: un escamotage della sinistra per continuare a galleggiare».

Si chiude il settennato di Sergio Mattarella. A detta di tutti, una presidenza esemplare.
«È stato molto bravo, il suo temperamento lo aiuta. Ha una visione ragionata della politica».

Come crede finirà la corsa al Quirinale: partita secca o scrutini all’infinito?
«Spero di no, perché altrimenti si trasforma la politica in un gioco. Mi auguro si facciano trattative sufficienti per assegnare alla presidenza della Repubblica la funzione che deve avere, ovvero organo di rappresentanza degli italiani. Se lo si trasforma in oggetto della trattativa tra partiti cambia la sua natura. Spero che nei partiti maturi quel senso di responsabilità che non sempre hanno avuto. Si deve attribuire a quella carica una figura di spicco, non da combriccola che impone le sue scelte nel gioco delle correnti».

Draghi?
«Non conosco la persona né le sue propensioni. Se lo volesse avrebbe molte chance, ma credo che noi abbiamo bisogno di lui come presidente del Consiglio, una carica delicata per uscire dalle difficoltà che stiamo attraversando e che lui ha dimostrato di sapere ricoprire bene e di avere l’energia giusta».

E allora chi?
«A me farebbe piacere fosse una donna. In Parlamento ci sono diverse figure qualificate. L’elezione di una donna sarebbe un messaggio importante, una scelta di cultura universale».

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