La Nuova Sardegna

Il massacro di Nuoro

Il 14enne non sa di essere l’unico superstite della strage: «Dov’è mio fratellino?»

di Simonetta Selloni
Il 14enne non sa di essere l’unico superstite della strage: «Dov’è mio fratellino?»

Il ragazzo ignora anche che suo padre Roberto Gleboni si sia suicidato. Il proiettile l’ha ferito a un orecchio, ha subito un intervento

29 settembre 2024
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Nuoro Non sa ancora che il fratellino di dieci anni è morto. E non sa che è morto anche il padre. Il figlio 14enne di Roberto Gleboni, scampato alla strage di mercoledì in via Ichnusa, è ancora ricoverato all’ospedale San Francesco. Ha subito un intervento chirurgico, perché il proiettile che il padre gli ha sparato, dopo aver ucciso la moglie Giusi Massetti e il figlio più piccolo Francesco, lo ha colpito a un orecchio. Attorno a lui si è dipanata l’articolata rete costituita dai Servizi sociali, Asl, Procura, forze dell’ordine, e che conta anche sugli specialisti di Re.s.p.i.r.o, acronimo per Rete di sostegno per percorsi di inclusione per gli orfani speciali. Questo adolescente è un orfano speciale. Suo malgrado; non ha più la famiglia, sterminata per mano del padre. La cura dei suoi interessi è affidata alla tutela legale dell’avvocato Antonio Cualbu, indicato dal tribunale, che ha svolto lo stesso ruolo per il fratellino Francesco, morto qualche ora dopo il ferimento. L’adolescente ha avuto un primo incontro, in modalità protetta, con gli inquirenti. Non ha più il cellulare, un accorgimento indispensabile per evitare che la durezza di quanto accaduto gli si palesi senza preparazione, ammesso che si possa mai essere preparati ad affrontare la tragedia di cui è unico superstite. E anche unico testimone, almeno di quanto accaduto in casa, anche se parzialmente.

Roberto Gleboni ha ucciso la moglie, la figlia e il figlio piccolo e ferito il 14enne in una sequenza pazzesca e accelerata. Prima, nel soggiorno, Giusi Massetti; quindi Martina, nella sua camera da letto; Francesco, nell’altra camera dove ha ferito il secondo figlio. Che non ha avuto contezza dell’omicidio di Paolo Sanna, il proprietario della palazzina di via Ichnusa, una “vittima collaterale”, unico estraneo alla famiglia, morto semplicemente perché si trovava lì. Per lui, che aveva 69 anni, come per Martina, 26 anni ancora da compiere, un unico colpo di pistola, alla testa. Lo stesso che poi Roberto Gleboni ha riservato per sé, dopo esser scappato da via Ichnusa, lasciandosi dietro una scia di sangue, e dopo aver ferito la madre, Maria Ernestina Riccardi, nella casa della donna, in via Gonario Pinna. Ieri a tarda sera il medico legale Roberto Demontis ha concluso le autopsie sui corpi di Gleboni, Sanna e di Martina. E il risultato è stato appunto questo, un colpo ciascuno di 7.65, pistola che l’operaio forestale deteneva legalmente. Oggi, nella sala settoria dell’ospedale Brotzu di Cagliari, saranno eseguite le perizie necroscopiche su Giusi Massetti e sul figlioletto. Le indagini non produrranno un processo, perché il reo è morto. Il punto investigativo è diretto sulle ragioni. Capirle. L’inchiesta va nella direzione di una famiglia che, al di là della facciata, non era così in armonia. Anzi. Un progressivo isolamento, innanzitutto dalla famiglia di origine della moglie; per Giusi, la dipendenza economica dal marito e l’arretramento del perimetro delle amicizie. A ciò si aggiunge un controllo ossessivo, esercitato da Gleboni soprattutto sulla moglie e sulla figlia Martina. Rapporti incrinati, senza che all’esterno ve ne sia la percezione, è un classico da manuale. Sono i prodromi di una violenza esplosa con un esito devastante, ma non improvvisa. E se tutte le famiglie felici sono uguali, e ogni famiglia infelice lo è a modo suo, questa infelicità resta all’interno. Finché non succede qualcosa, finché la maschera non cade. Ma solo da fuori sembra un fulmine a ciel sereno. E ora, resta il ragazzino. Un “orfano speciale”. Dove andrà, che percorsi dovrà compiere per riprendere in mano la sua vita, questo ora è l’interrogativo, l’altra faccia del dramma.

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