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Dentro la banca sotto zero di Cagliari dove i semi valgono più dei soldi

di Serena Lullia
Dentro la banca sotto zero di Cagliari dove i semi valgono più dei soldi

Nel forziere della biodiversità custodite specie in pericolo come il ribes del Corrasi e quelle provenienti da scavi archeologici: se ne parla su Rai Uno

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Cagliari La biodioversità della Sardegna è custodita in un caveau nel cuore di Cagliari. Dentro celle a temperature sottozero, sentinelle con occhi bionici e rilevatori per garantirne la salute. Lì riposano quattromila varietà di semi a quattro mori. È la banca del Germoplasma, in gergo tecnico Bg Sar, patrimonio gestito dall’Agenzia regionale Agris. All’interno c’è il corredo genetico della flora e delle coltivazioni dell’isola, comprese quelle dei progenitori dei prodotti agricoli sardi. Un campionario così prezioso, da fare della struttura isolana, nata 27 anni fa, la più importante del Mediterraneo e una delle maggiori a livello internazionale. Un tesoro destinato a fruttare o fiorire, garantendo il futuro della biodiversità nell’isola.

Nel forziere cagliaritano, dove i semi valgono più dei soldi e il loro valore, a differenza del denaro, si moltiplica nel tempo e non conosce crisi, ci sono specie in pericolo. Come il ribes del Corrasi di cui restano solo una settantina di esemplari. Ma anche 100 varietà di fagiolo, 33 cultivar di olivo, e poi vite, melo, pero, anguria, mandorlo. Piante autoctone protette dalla globalizzazione che vorrebbe spazzarle via.

La missione Il deposito di semi raccoglie, moltiplica e conserva le specie vegetali endemiche, rare, minacciate o comunque di particolare interesse in Sardegna e nei territori insulari del Mediterraneo. Garantisce quindi non solo la conservazione dell’immenso patrimonio di bio e agrodiversità sardo. I semi sono un po’ come dei pezzi di ricambio della natura. Grazie a loro si possono ripristinare e recuperare parti di essa in caso di qualsiasi evento avverso o calamitoso, naturale o prodotto dall'uomo. Una missione esemplare riconosciuta a tutti i livelli tanto che la Banca rappresenta la struttura di riferimento per la Regione Sardegna, Forestas, Cnr, Laore, Agris, Soprintendenze e tutte le aree protette a livello regionale.

Dove si trova I laboratori della Banca del Germoplasma con caveau annesso e celle frigorifere si trovano nei locali dell'Orto botanico di Cagliari, vicino alle rovine puniche e romane.

Che cosa è il germoplasma Non è altro che il corredo genetico di una determinata specie, capace di trasmettere i caratteri ereditari da una generazione all'altra. Sono stati proprio gli scienziati del Centro di Conservazione della biodiversità a elaborare per primi le linee guida per l'estrazione del germoplasma, adottate poi a livello nazionale.

Quando nasce Nel 1997 grazie all’accordo tra università di Cagliari e amministrazione provinciale, nasce il Centro di Conservazione Biodiversità dell’Università di Cagliaritana. La sua creazione è arrivata a seguito della Convenzione di Rio de Janeiro firmata nel 1992 che individuava nelle banche del germoplasma uno strumento per la conservazione della biodiversità nel lungo periodo.

Vivere per 10 mila anni La temperatura a cui vengono conservati i semi ne determina il loro utilizzo. Nel breve o nel lungo periodo. A + 5 gradi  se ne fa un utilizzo nel breve periodo «per la moltiplicazione a fine agronomici, ripristini ambientali, per il recupero di habitat degradati o per cercare di rinforzare una popolazione di una specie a pericolo di estinzione», spiega il direttore della Banca, Gianluigi Bacchetta. Esiste poi una conservazione di base in celle frigorifere a meno 25 gradi dove i semi vengono stipati dopo essere stati sottoposti a un processo di disidratazione, con tasso di umidità ridotto al 5%, per evitare che i tessuti vengano intaccati. «In questo modo viene garantita la vitalità dei semi a lungo termine che può arrivare fino a 10 mila anni».

Grande valore in piccoli spazi La banca del Germoplasma occupa uno spazio fisico ridotto. «In soli 25 metri cubi conserviamo circa 4mila accessioni che corrispondono al 50% della flora dell’isola e il restante 50% di varietà coltivate», spiega Bacchetta. Ci sono collezioni complete di olivo, mandorlo, pero, pruno, melo, melone, anguria, che in uno spazio cosi ridotto danno però una immagine molto fedele della diversità genetica a livello regionale».

Diversi è bello Uniformarsi, rinunciare alla propria identità ha effetti negativi anche sulla bio e agrodiversità. «Siamo in un mondo globalizzato in cui dominano alcune varietà che hanno un interesse commerciale – argomenta Bacchetta –. Si ha quindi la tendenza a coltivare le stesse cose in tutto il pianeta. Pensiamo alle mele fuji o alle pere conference coltivate un po’ ovunque perché hanno riscosso, dal punto di vista commerciale, successo sul mercato. Mentre le nostre pere o le mele sarde, non avendo importanza rilevante sui mercati ortofrutticoli rischiano di perdersi». Ma non si rischia di perdere solo l’identità agricola omogenizzando la produzione. Si innesca un pericoloso processo di riduzione della diversità genetica. «Quando si omogenizzano i mercati si arriva a una riduzione della diversità genetica pericolosa – sottolinea Bacchetta –. Perché se si ha l’ attacco di un patogeno o un problema dovuto a stress ambientale o climatico è più facile perdere l’intera produzione. Invece con una grande diversità genetica si perdono gli individui più deboli, che non riescono a sopportare queste variazioni o questi stress, ma ne restano altri che geneticamente sono più preparati e grazie ai quali si riesce a superare la crisi».

Tesoro millenario A questo già incredibile e variegato campionario di semi, si aggiungono poi tutte le specie provenienti da giacimenti archeologici. Nella banca ci sono infatti gli avi dei prodotti agricoli sardi. «Siamo depositari per conto della Soprintendenza di tutto il materiale che proviene dagli studi e scavi archeologici – conclude il direttore Bacchetta –. Pensiamo a quello che si è trovato a Cabras, nei pozzi nuragici, che hanno restituito semi di fico e uva che ci hanno consentito di comprende la paleodieta delle popolazione nuragiche. Abbiamo trovato semi di melone dell’età del bronzo ancora in grado di restituirtici un dna, e di capire a quali meloni attuali fossero più avvicinabili».

Il team Gianluigi Bacchetta, è il direttore del Centro di conservazione della biodiversità e della Banca del germoplasma della Sardegna. Con lui Marco Porceddu curatore della Banca, Ludovica Dessì tecnico di laboratorio. A completare il team il prezioso lavoro di assegnisti e dottorandi, fino ad arrivare a dieci professionisti. La struttura gode dei finanziamenti dell’assessorato regionale all’Agricoltura sotto il coordinamento di Agris.

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