La Nuova Sardegna

Il caso

Maxi truffa in Cina per un sardo: il terreno venduto due volte

di Alessandro Mele

	La cordata di investitori italiani e Massimo Gallus
La cordata di investitori italiani e Massimo Gallus

La cordata guidata dal cavista Massimo Gallus doveva realizzare un mega polo industriale

08 novembre 2024
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Nuoro Una truffa in piena regola sulle rive del Mar Giallo ha investito come uno tsunami un gruppo di imprenditori italiani, in testa il cavista di Orosei Massimo Gallus. Dafeng, provincia di Jiangsu, Cina. È qui che doveva sorgere il sogno della “Città della pietra”, un grande porto commerciale per il marmo, sui 133 ettari di terra comprati dalla cordata italiana. Peccato che il Comune di Dafeng quegli stessi terreni li avesse venduti a un’altra società cinese e che il progetto italiano sia stato bloccato. Ne è scaturita un’inchiesta che ha portato a dieci arresti tra i dirigenti pubblici e messo in ballo un risarcimento da 92 milioni di euro.

L’idea era venuta a due imprenditori italiani, tra cui proprio Massimo Gallus, e a un loro collega della Cina. Il progetto era quello di creare un mega parco industriale nel quale far arrivare via mare i marmi da diversi continenti per poi tagliarli in lastre e venderli sul mercato locale e su larga scala. «Ci hanno tolto all’improvviso il sogno della nascita di una città della pietra – commenta Massimo Gallus, che con la sua impresa è titolare di due concessioni di cava a Orosei e di un impianto di micronizzazione che serve a trasformare il marmo in una sorta di borotalco poi utilizzato in certi tipi di asfalto e cemento –. Qui sarebbero convogliati tutti i materiali del mondo per poi essere lavorati con tecnologia italiana, la top sul mercato; ed essere venduti nel mercato cinese».

Costo dell’investimento: 60 milioni di euro. È stata poi creata una società con sede legale a Hong Kong, la “Ouhua stone company”, società presieduta da Massimo Gallus e capofila della holding attraverso la quale gli imprenditori, ai quali nel frattempo si erano aggiunti altri sei soci connazionali e otto fra spagnoli, olandesi e indiani, hanno acquistato dal Comune di Dafeng 133 ettari di terra sottratta al mare e iniziato a costruire. In breve tempo sono sorti i primi capannoni e la macchina dei costruttori si è messa in moto. «Centomila metri quadri di capannoni – spiega ancora Massimo Gallus – in circa dieci ettari di terra».

Tutto procedeva per il meglio fino a quando il gruppo di imprenditori si è accorto che sugli stessi terreni qualcuno stava costruendo altro. «Abbiamo chiesto chi fossero e cosa stessero facendo – racconta l’imprenditore di Orosei –. “Un impianto di desalinizzazione dell’acqua”, la risposta. E la costruite sui nostri terreni? “Come vostri? Li abbiamo comprati dal governo”. Impossibile: li abbiamo presi noi. Ci sono i documenti, le autorizzazioni, licenze, tasse pagate. Ma anche loro risultavano proprietari». Roba da thriller: «Il Comune di Dafeng aveva venduto due volte la stessa terra – prosegue Gallus –. Non solo, l’ente marittimo cinese aveva anche dichiarato illegittime le nostre attività perché realizzate su aree marine rispetto alle quali il Comune cinese non avrebbe nessuna competenza». Interpellati sul tema dai diretti interessati, i funzionari di Defang sono caduti dalle nuvole, quelli non ancora sottoposti ad arresto sono svaniti nel nulla, nel mentre alcuni capannoni sono stati già demoliti e le fabbriche chiuse. Intanto, in questi giorni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani è in visita istituzionale in Cina con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Siamo incappati nelle persone sbagliate – chiude Massimo Gallus – ma non siamo nemici della Cina. Forse il Governo centrale cinese è ancora all’oscuro della faccenda, ma confidiamo nel fatto che saranno in grado di risolvere al meglio e quanto prima questa situazione».

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