Giusy Saladdino: «Quell’uomo ha distrutto anche le nostre vite»
L’ex cognato nel 2022 a Porto Torres uccise i genitori e ferì gravemente la sorella Ilaria
Porto Torres «Da quando quell’onda violenta ci ha travolti non abbiamo avuto neanche il tempo per piangere. Lo facciamo la notte, quasi di nascosto, quando siamo soli. Di giorno non possiamo permetterci di fermare i nostri passi, perché la famiglia è improvvisamente raddoppiata: siamo passati da due a quattro figli e con noi c’è mia sorella Ilaria che lentamente ha cominciato il suo percorso per riabbracciare quella vita che l’ex marito ha tentato di toglierle».
Giusy Saladdino parla a raffica, senza fare pause per evitare di soffermarsi troppo su particolari che ancora oggi lasciano ferite profonde. Sono trascorsi due anni e nove mesi dalla tragedia. Da quando Fulvio Baule, ex marito di Ilaria ha ucciso a Porto Torres a colpi di accetta sotto casa il suocero Basilio “Dino” Saladdino, ferito gravemente la suocera Liliana Mancusa (deceduta poi in ospedale) e ridotto in fin di vita Ilaria, madre dei loro due figli che allora - al 26 febbraio 2022 - avevano appena un anno.
Da quel giorno il loro mondo è cambiato e la giornata contro la violenza sulle donne è un appuntamento che toglie il fiato. «Quella di lunedì 25 è una scadenza. Ma io ci penso tutti i giorni – dice Giusy Saladdino, seduta accanto al marito Franco, instancabile compagno, risorsa preziosa che sostiene con tutte le forze la rinascita della famiglia – e ho capito che non può essere una sola volta. Cioè una data nel calendario di ogni anno. È un dramma che si vive ogni minuto, sempre. Se ne parla ovunque, ma le donne continuano a essere uccise. Sette in Sardegna nel 2024, più 200 per cento. Incredibile. È uno strano periodo, la maggior parte degli omicidi commessi in famiglia dove invece bisognerebbe trovare protezione e rifugio. La tragedia disumana che è capitata a noi deve servire a guardare con occhi diversi la realtà».
E Giusy racconta come si vive dopo essere stati travolti da un uragano che ti coglie di sorpresa e annulla ogni forza. «Ci siamo prima chiusi nel nostro dolore, poi piano piano abbiamo iniziato a muoverci e riprendere in mano ciò che restava della nostra vita precedente. Ci ha aiutato la comunità di Porto Torres, la gente semplice: una frase sottovoce, un cenno del capo, un sorriso, un grande cuore. La mobilitazione discreta e profondamente umana messa in atto da un sacerdote come don Michele Murgia». Così si è rafforzato il senso di responsabilità di Giusy e Franco, come genitori ed educatori di quattro figli, guide di una famiglia allargata.
«Non è mai stato facile e oggi lo è ancora di meno. C’è da stare accanto a Ilaria che combatte ogni istante per mettere le basi di una possibile rinascita. Un tassello per volta, cose provate e riprovate. A volte non riuscite e altre andate meglio. Ma il percorso di avvicinamento verso una vita normale è ancora lungo. E poi i bambini, che ti chiamano mamma e papà perché sono ancora così piccoli e dovranno affrontare momenti delicati. E noi a loro stiamo insegnando quei valori importanti per vivere bene in una società profondamente umana. A cominciare dal rispetto verso gli altri. Della vita. Noi siamo, e spero lo saremo fino all’ultimo istante, un punto di riferimento importante per organizzare una vera e propria riscossa sociale sul tema della violenza sulle donne e in famiglia». Il pensiero a quella terribile sera di due anni e mezzo fa c’è sempre. Non si potrà mai cancellare. E così emerge anche un altro aspetto: quello che riguarda le vite dei familiari, coloro che restano per continuare a combattere dopo essere stati attraversati da una violenza distruttiva che ti scava dentro e ti lacera nel profondo dell’anima.
«Non ci aspettavamo le scuse di chi ha ucciso, ma non sono mai arrivate. Il problema è il dopo, perché chi commette un reato così grave, chi toglie la vita alle persone, a un padre e a una madre e riduce in fin di vita la ex moglie, deve pagare tutto il conto con la giustizia. Non ci possono essere sconti o premi. Per che cosa? I riconoscimenti vanno a chi ogni giorno continua a vivere nella sofferenza, si fa carico di responsabilità enormi e fa in modo che bambini colpiti indirettamente dalla violenza possano diventare gli uomini migliori del domani».
Il sorriso di quei bambini è il seme della vita. «La loro felicità ti ripaga – dice Giusy Saladdino mentre stringe la mano di Franco – anche se sappiamo che i problemi non sono finiti, che ci saranno momenti difficili con i quali occorrerà fare i conti. E allora meno giornate una volta l’anno ma attenzione vera tutti i giorni. Per trovare quella determinazione che serve a chi combatte spesso in solitudine e scopre nei gesti semplici quotidiani di chi ti sta accanto che vale la pena continuare a resistere e lavorare per ricostruire. Lo dobbiamo a mio padre e a mia madre, a Ilaria e ai suoi due bambini, ai nostri due figli che sono straordinari e hanno agevolato ogni nostra azione. Così si diventa una grande famiglia».
Ogni donna che subisce violenza, che viene uccisa è una sconfitta pesante. E Giusy chiude così: «Meno giornate celebrative e più dialogo, più valori, più forza per combattere chi si sente padrone della vita di chi vive con lui. Niente è irrisolvibile, nessuno si nasconda e trovi sempre il modo per comunicare e chiedere aiuto. Per salvare le donne, per renderle libere».