«L’Italia è forte ma i giovani meritano di più»
L’ex tecnico azzurro e vincitore di due Coppe dei Campioni: «Il gruppo che ha giocato l’Europeo può fare molto bene»
di Roberto Degrassi
Il Vate è il solito. Valerio Bianchini, 72 anni, resta uno fra i personaggi più acuti del nostro basket, mai scontato. La sua fotografia sui Campionati europei appena conclusi e sul campionato di serie A che sta per iniziare è scattata con la competenza di uno degli allenatori più vincenti.
Bianchini è stato il primo tecnico italiano a vincere lo scudetto con tre società diverse (Cantù, Pesaro e Roma), ha conquistato due Coppe dei Campioni (Cantù e il leggendario Bancoroma di Larry Wright), una Coppa Intercontinentale e una Coppa delle Coppe. Ha guidato la Nazionale italiana a un sesto posto ai Mondiali. Era il 1986, 29 anni fa. Per rendere un’idea della caratura degli avversari: vinsero gli Usa, seconda l’Urss di Volkov e Sabonis, terza la Jugoslavia di Drazen Petrovic e Divac, quinta la Spagna di Martin ed Epi.
Bianchini, quale eredità lasciano gli Europei al basket italiano?
«Tre certezze importanti. Innanzitutto la qualificazione al torneo Preolimpico del prossimo luglio che ci permette di sperare di andare a Rio, poi la consapevolezza che questa è una squadra davvero forte e infine la maturazione e la trasformazione di alcuni giocatori. Penso a Gentile, che ormai ha un ruolo importante in questa Italia, ma anche a un personaggio come Bargnani che si è rivelato insospettabilmente più partecipativo».
Si poteva andare più lontano?
«Gli Europei strutturati in questo modo rappresentano un’incognita. I rimpianti? Forse in qualche caso si sarebbe potuto usare di più le sostituzioni, inoltre Datome non era disponibile e per questa squadra la sua è sicuramente un’assenza pesante».
Il presidente federale Gianni Petrucci alla vigilia degli Europei aveva definito la nostra Nazionale come la più forte di sempre. Meglio di quella d’oro del 1999 di Myers, Fucka, Marconato e Andrea Meneghin. Meglio di quella d’oro nel 1983 con Dino Meneghin, Marzorati, Villalta e Caglieris, D’accordo?
«Non ha sbagliato. Sì, questa è un’Italia molto forte, con giocatori di livello ma, mi ripeto, non è detto che in una competizione come gli Europei, con tanti impegni ravvicinati, possano venir esaltati i valori».
Quali sono le difficoltà nel gestire un gruppo come quello azzurro?
«Partiamo da una considerazione: nella stessa formazione convivono due nuclei. Giocatori che vedono poco il campo e con poche responsabilità nel campionato italiano e i “pro” che giocano in un torneo da 82 partite solo nella stagione regolare e dove per giunta si pensa molto allo spettacolo e si lavora meno sull’intensità e sulla difesa. Come non bastasse, di fronte ci troviamo formazioni composte invece anche da elementi che tengono il campo in Eurolega dove si gioca un basket a sua volta diverso dagli altri contesti».
Ma quasi tutte le Nazionali hanno nelle loro file giocatori con esperienze Nba...
«Però nella Francia e nella Spagna non ci sono solo “pro”. Ci sono anche giocatori che sono mattatori nei rispettivi campionati nazionali. Da noi invece si dà spazio agli stranieri».
Che si può fare, allora?
«Abbiamo giovani in gamba? Crediamoci e diamo loro lo spazio che meritano. Nel nostro campionato, però, chi lo fa? Proviamo a contarli. Reggio Emilia – che infatti ha mandato Polonara e Della Valle in Nazionale anche se poi in azzurro sono stati usati poco – la Virtus Bologna che ha Fontecchio e qualche altro giovanotto e Trento. Stop. A Milano Gentile ha dimostrato maturità, fisico e coraggio e mi aspetto che cresca ancora».
All’Olimpia Milano sarà affidato alle cure di Repesa, uno che non le manda a dire.
«Di sicuro non è un tecnico che regala minuti a chi non sa guadagnarseli. A Gentile la sua guida farà bene. Sapete qual’è il guaio del basket italiano?».
Quale?
«Troppi club sono prigionieri degli agenti. Non è possibile che venga rivoluzionato il parco giocatori ogni estate. I dirigenti lanciano un atleta e subito lo rivendono, da altre parti mica si fa così. Il Real Madrid e il Barcellona quelli bravi li costruiscono in casa, li lanciano e li blindano. Da noi, invece, si naviga a vista. Avete presente i bond? Ecco, noi trattiamo i giocatori così. Vendi, compri. Quando riusciremo a capire che un giovane ha bisogno di una crescita costante e sicura? Le società devono mettere in preventivo il tempo per far maturare un talento».
Se proviamo a isolare due fotogrammi memorabili degli ultimi Europei non si può non pensare al volto di Pau Gasol trasfigurato dalla trance agonistica e all’inchino di Dirk Nowitzki ai suoi tifosi dopo l’ultima partita con la maglia della Nazionale tedesca. Non proprio due ragazzini.
«Gasol e la Spagna hanno dato un esempio: si può giocare anche con i lunghi... Certo, bisogna che ci siano, siano forti e si impegnino nel gioco di squadra. Ma agli Europei non ho visto solo questi vecchietti d’oro. Ho notato anche qualche buon giovane. Ce n’erano. Nella Serbia, nella Turchia».
Giusto che la medaglia d’oro sia andata agli spagnoli?
«Hanno dimostrato un grande impatto pur non essendo stati al completo. Hanno seguito il loro faro, un fantastico Gasol. Mi ha deluso la Serbia che aveva grandi possibilità e ha invece raccolto poco. Considero deludente anche la Francia che giocava davanti al proprio pubblico».
Ultima domanda. Per lei è stata un’estate di novità. L’hanno nominato responsabile del “Progetto scuola” e delle relazioni esterne dell’Eurobasket Roma e ha avuto anche una gioia in contesto familiare. È nato il primo nipotino.
«Eh no, ragazzi. Se pensate che io adesso mi metta a fare solo il nonno... Vi avverto: di me non vi libererete facilmente».
@degrax
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