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Stefano Sardara: «Non vedrete più una Dinamo che si accontenta»

di Antonello Palmas
Stefano Sardara: «Non vedrete più una Dinamo che si accontenta»

Intervista con il presidente biancoblù: «Solo sì dalle prime scelte, il brand tira sempre. Deluso dal gruppo della scorsa stagione, di talento ma incapace di lottare sino alla fine. Tifosi bravi a non infierire»

15 luglio 2024
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Sassari Lo aveva annunciato, lo ha fatto. In poche settimane dopo la fine di una stagione sconcertante il presidente Stefano Sardara ha rivoltato come un guanto una Dinamo capace di mostrare un potenziale notevole, per poi rifiutarsi di usarlo. Una squadra senza anima che ha spesso offerto un spettacolo non all’altezza. Di quel gruppo è rimasto solo Cappelletti, più il rientrante Bendzius. Il numero 1 del club spiega il momento biancoblù.

Forse la Dinamo non ha mai conosciuto una fase di cambiamento così radicale.
«Credo di sì, almeno negli ultimi anni. Era finito un ciclo fatto di giocatori cresciuti con noi come Diop, Treier, Kruslin. Era finito anche un ciclo tecnico. Certo azzeccare il timing giusto per cambiare tutto è sempre complicato. E sono rimasto davvero stupito della credibilità che il nostro club ha nel mercato del basket: dopo una stagione non proprio esaltante aver visto le nostre prime scelte entusiaste di venire a Sassari, è qualcosa che inorgoglisce».

Si sarebbe potuto fare prima?

«Sì, forse con un anno d’ anticipo. Ma venivamo da annate in cui i risultati davano ragione a quel gruppo, con due semifinali scudetto. E pochi anni prima una finale scudetto, una Supercoppa e una Europe Cup vinte. È successo anche ai Bulls, a volte è difficile preventivare: avrebbe potuto avere successo, così come sarebbe potuta andare malissimo».

Questa volta però non si poteva più aspettare: quali sono stati i punti fermi?
«Il principale: scegliere giocatori che vedessero l’arrivo alla Dinamo con orgoglio, che fossero felici di essere qui. Non abbiamo cercato la “stella” che sembra farti la cortesia di esserci. Siamo convinti che la “fame” è ciò che crea le motivazioni all'interno della stagione, sia tra i giovani che tra i senior abbiamo cercato persone di un certo tipo. E ciò che ci rende ancor più contenti è che la maggior parte dei “sì” dei nuovi, anche di gente con un buon pedigree, sono arrivati subito, molto prima che fossero ufficializzati con certe scadenze per una nostra scelta».

Tra l'altro senza sapere se avreste giocato le coppe.
«Assolutamente sì. E senza nemmeno dover spiegare a giocatori, ad agenti o con i vertici della Bcl che un anno più sfigato con gli infortuni come quello passato non lo ricordiamo. Chiaro che la stagione ha preso una certa piega proprio per quello. Ma se guardi gli ultimi 10-11 anni di questo club, vedi che forse c’è stata solo un’altra annata poco brillante. È stato il classico inciampo, perché lo sport è fatto così. Se fosse una scienza esatta smetteremo anche di giocarlo perché vincerebbero sempre la stesse uno-due squadre. E se il club è organizzato, ambizioso, ha voglia di fare, ci può stare un anno così».

Vi siete fidati ciecamente di coach Markovic, arrivato pochi mesi fa. Insieme a Pasquini ha avuto carta bianca per rifondare il roster.
«Ha una storia ricca di successi, di esperienze in tanti club e Nazioni, sempre con buoni risultati. Ci fidiamo anche in base a quanto ha fatto da noi. Non dimentichiamoci di quando la Dinamo ha battuto in fila tutte le migliori: Milano, Brescia e Bologna».

Non erano certo gli avversari da superare per forza.
«Certo, per quello mi sono arrabbiato con la squadra, perché aveva il talento per poter fare molto di più. Dopo quella serie di vittorie eravamo la squadra più temuta del campionato, invece si è seduta ritenendo che bastasse aver messo al sicuro il club. Una cosa per me inaccettabile, totalmente non professionale. Ecco, io non voglio più avere persone che si accontentano, non le voglio dentro un'azienda, figuriamoci in campo».

Vi siete chiesti perché abbiano rinunciato a spingere?
«È stata un stagione tribolata. Quando parti con 4/5 del quintetto fuori al giorno 2 del ritiro (il più importante non rientrerà per tutta la stagione) e sei costretto a far giocare gli uomini fuori ruolo, può subentrare la frustrazione se le cose non vengono come si è abituati. Markovic è stato molto bravo a integrare con la sua personalità ciò che ci mancava, appunto la personalità in campo. Ma l’effetto è durato un mese, poi è tornata a galla la sostanza vera della stagione».

C’è da recuperare una percentuale di affetto dei tifosi?
«Dopo gare superlative in cui sembravamo i Lakers, abbiamo fatto partire vergognose. Solo la bontà e l'affetto dei nostri tifosi ha impedito che prendessimo “schiaffi”. Io odio i fischi, ma se fossi stato in tribuna avrei fischiato, e negli spogliatoi mi sono fatto sentire. Il pubblico ha capito e ci è sempre stato vicino anche nei momenti più complicati, anche con splendide coreografie, la nostra tifoseria ha una cultura cestistica raffinata. Mi sento in debito, questo sì, perché avrei voluto regalare loro una stagione, magari non vincente, ma meno travagliata. Ma la campagna abbonamenti conferma che i nostri tifosi tengono sempre al club».

Soddisfatto delle prese?
«Molto, perché conoscevo il piano di Nenad e di Fede all'inizio e quindi sono un buon testimone di ciò che avevano in mente. E vedere che tutti gli obiettivi con le prime scelte sono stati raggiunti ci appaga, e rende onore a coach e gm che si sono spesi anche personalmente andando a parlare coi giocatori con gli agenti. Da orgoglioso presidente mi porto a casa la constatazione che il brand Dinamo tira sempre».

Nasce sulla carta una squadra con tante soluzioni, esperienza e talenti da lanciare.
«Abbiamo speso un pochino più dello scorso anno, in cui avevamo speso un pochino più del precedente. Il range è sempre lo stesso, ma abbiamo scelto gente che ha leadership e lavoriamo su due velocità. Anche perché Markovic è uno che opera molto bene con i giovani. Stiamo ritentando quanto fatto qualche anno fa co i vari Diop e Treier, riprendiamo a investire su giocatori giovani, in un mercato italiani sempre più stretto. Avremo a che fare con una Lba sempre più competitiva, cui si aggiungono neopromosse con mezzi importanti come Trapani, club con azionariato estero. Ma noi ci vogliamo tagliare sempre il nostro spazio».

I lavori al Palasport rischiano di danneggiarvi?
«No, no. Ogni tanto qualcuno mi ferma per chiedermi: ma allora l'anno prossimo dove andiamo? Come facciamo? Voglio dire che il Comune ha dovuto seguire un percorso molto complicato con queste ristrutturazioni nate male, ma è stato bravissimo a chiarire alle ditte appaltatrici il concetto che dovevano salvaguardare i nostri interessi. Quindi la stagione a Sassari non è e non sarà mai in discussione, a costo di impiegarci sei mesi in più. Purtroppo abbiamo dovuto rinunciare a molti posti, pur risultando sold out, perché la capienza è limitata (probabile il recupero di qualche centinaio di posti, ndc)».

Per la Nazionale non è un momento felicissimo.
«Credo che siamo un po’ tutti delusi, ma non dobbiamo deprimerci. Perché negli ultimi anni la nazionale ha riappassionato tutti a questo sport, e questo è molto bello, quindi bisogna avere un po' di pazienza, lasciare il tempo giusto per fare le cose e sono sicuro che i risultati arriveranno. La Nazionale ha l'anima del suo allenatore, ci crede e vuole fare bene. Purtroppo hanno perso qualche pedina importante come Fontecchio, e Gianmarco (Pozzecco) ha avuto poco tempo per lavorare. Credo che il presidente Fip Petrucci abbia fatto un lavoro eccellente, così come il presidente di Legabasket Gandini. Occorre concentrarsi sull'innovazione, sulle riforme che possiamo fare per rendere tutto ancora più attraente. E c’è una Under 17 che ha fatto cose strabilianti, quindi sicuramente un buon bacino arriverà anche da lì».

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