Michele Fini: «Dal Maracanà al Latte Dolce con curiosità e grande voglia»
L’ex Cagliari, nuovo tecnico dei sassaresi, racconta le prime settimane in panchina: «Ho scoperto che c’è tanta fisicità, questa sosta è stata utilissima per lavorare»
Sassari Nel panorama di difficoltà per le squadre sarde della serie D, tutte ancora lontane dal traguardo della salvezza a 7 turni dalla fine, ha dato cenni di risveglio oltre l’Olbia anche il Latte Dolce, tornato a vincere dopo 6 partite di lacrime. Il successo sulla Puteolana ha “bagnato” l’esordio in panchina di Michele Fini.
«Ho trovato una squadra in salute sul piano fisico ma provata dalle tante sconfitte – dice il tecnico di Sorso, 50 anni, tre figli e una bella carriera da giocatore professionista, con 152 presenze in A e 144 in B –. Bisognava intervenire a livello mentale e tutti si sono rimessi in discussione, mostrandosi motivati e sfoderando subito una prova di carattere. Ma su questo non avevo dubbi, sapevo che i ragazzi avrebbero risposto bene sul campo. Per spronarli ho portato anche esempi personali come le prime 5 partite perse col Cagliari e poi la svolta, senza demoralizzarsi ma credendoci sempre. Si deve ritrovare freschezza mentale».
La sua idea di gioco?
«Credo molto nel lavoro settimanale, da cui trarre indicazioni su come potrà essere la partita. Tutti devono potersi esprimersi al massimo, ma il modello di gioco è dettato dalle caratteristiche di chi si ha a disposizione. Sono però quasi maniacale nel chiedere equilibrio tra le due fasi, vedo che questo Latte Dolce è comunque più propenso più ad attaccare che a difendere».
Un tecnico a cui ispirarsi?
«Ne ho avuto tanti. Da tutti ho cercato di imparare, assorbire il meglio: 4 anni con Marco Giampaolo hanno lasciato il segno, lo ritengo il mio maestro con la sua cura per ogni dettaglio, dalle rimesse laterali alla gestione dello spogliatoio, alle distanze in campo».
Che impressione ha di questo campionato?
«Sono arrivato un po’ al buio, non so le dinamiche della categoria ma ho già capito che c’è molta fisicità e le gare che ci aspettano non saranno semplici. Questa pausa è stata utile per lavorare sui particolari, dopo i primi giorni in apnea per affrontare subito una squadra tosta come la Puteolana».
La bassa classifica della D parla soprattutto sardo, come spiega queste difficoltà?
«Non conosco i problemi, so però che per le isolane il confronto è sempre arduo e penalizzante, complicato da difficoltà logistiche ed economiche, trasferte lunghe e dispendiose. E non è neppure facile reperire giocatori strutturati per la categoria. È brutto vedere le squadre sarde in basso, ma spero che tutte possano raggiungere la salvezza».
Dopo tanti anni in panchina come vice di Diego Lopez, con esperienze su campi sudamericani, come si finisce a fare il primo allenatore in serie D, a due passi da casa?
«Non è la prima volta in assoluto, due anni fa ero stato a Bono, in Promozione, da subentrato, e non è finita bene. Ora ho accolto con piacere questa nuova opportunità, non so perché il Latte Dolce ha voluto puntare su di me ma sono felice di vivere questa nuova esperienza. Il calcio porta anche a cambiare vita, ho voluto guardarmi intorno dopo le incredibili storie vissute lontano da casa».
È passato dalla Coppa Libertadores al Maracanà di Rio ai campi nostrani di periferia. Due mondi opposti.
«Ho avuto la fortuna di seguire Lopez in tre Paesi diversi in Sudamerica, al Penarol in Uruguay, all’Universidad in Chile e al Barcelona in Ecuador, imparando in fretta la lingua per comunicare con la squadra. Ho visto un altro modo di intendere il calcio. Laggiù il calcio è vita, coinvolge tutti in modo passionale e gli stadi, sempre pieni, per partecipazione sono un’unica curva. Allo stesso tempo c’è più leggerezza, sul pullman prima della gara non c’è la nostra tensione ma tanta musica (reggaeton) e allegria. La concentrazione arriva sul campo».
Da ex torresino segue la Torres?
Sempre, vedevo le partite anche in Ecuador. La squadra rossoblù è stata il mio trampolino di lancio tra i professionisti. Come dimenticare il primo gol, segnato al Lumezzane a 17 anni, sotto un diluvio. Ho iniziato da esterno, tanto tempo dopo Ballardini mi ha trasformato in mezz’ala».