Quell’abisso che si spalanca sull’Europa
di Costantino Cossu
Esce “Non sono razzista, ma” di Luigi Manconi Il ruolo della politica contro la discriminazione
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«Analizzare come lo stato di inquietudine determinato da una presenza estranea rischi di trasformarsi in altro» e individuare che cosa si possa fare «perché si eviti che ciò accada». Questa è la doppia missione che Luigi Manconi, presidente della Commissione per i diritti umani del Senato, e Federica Resta, avvocata e dottore di ricerca in Diritto penale, si prefiggono di assolvere con il saggio “Non sono razzista, ma”, appena pubblicato da Feltrinelli (150 pagine, 15 euro). Per Manconi e Resta gli italiani non sono razzisti, ma potrebbero diventarlo se nello spazio che ancora separa paura dell’altro e atti conclamati di discriminazione (che pure esistono e diventano sempre più numerosi) la politica rinuncia ad agire. Secondo i due autori, «la questione del razzismo nei sistemi democratici rimanda proprio a questo deficit». Deficit di buona politica, per l’esattezza. Perché in realtà la politica nello spazio tra paura e discriminazione si insedia eccome.
Ma lo fa alimentando la paura, in modi e con toni diversi, che vanno dai titoli di Libero, apertamente razzisti, alle scelte del ministro Minniti, avvallate da tutta la maggioranza che sostiene il governo Gentiloni. La politica, scrivono Manconi e Resta, «può svolgere un compito di razionalizzazione e di negoziazione o, all’opposto, può funzionare da irresponsabile incentivo e detonatore di pulsioni violente». Il disagio creato dai massicci flussi migratori esiste, e non va sottovalutato. Tutto sta nel come quel disagio viene gestito. La frase che dà il titolo al libro, frase che chissà quante volte abbiamo udito, in fondo è - argomentano i due autori - una richiesta di aiuto rivolta dagli italiani alla politica: «Aiutateci a non diventare razzisti».
Manconi e Resta lo dicono, nel loro saggio, che cosa bisognerebbe fare per aiutare gli italiani (e gli europei) a non diventare razzisti. Sarebbe necessario, in primo luogo, invertire la tendenza a produrre leggi e norme che criminalizzano i migranti o, peggio, che applicano ai migranti una legislazione parallela che in larga misura cancella l’obbligo del rispetto dei diritti umani sanciti dalla Costituzione e dalle carte internazionali. Sarebbero necessarie politiche di integrazione a livello Ue che regolino i flussi e stabiliscano percorsi di accoglienza da definire anche attraverso procedure di coinvolgimento e di convincimento delle comunità interessate. Soluzioni indicate non da oggi nel dibattito pubblico nazionale, e sempre largamente disattese da una politica che preferisce fare altre scelte.
Ma non è tanto questo l’aspetto che ci interessa sottolineare del libro di Manconi e Resta. “Non sono razzista ma” è un libro utile soprattutto per un altro motivo: perché richiama l’attenzione sull’abisso che per tutto il continente europeo rischierebbe di spalancarsi se la politica, per una manciata di voti, derogasse alle sue responsabilità. Cancellando l’appiglio, ancora esistente, di quel “ma”, i gruppi dirigenti europei potrebbero aprire la strada a qualcosa che Manconi e Resta, sia pure con le giuste cautele, non esitano a paragonare, nelle sue connotazioni etiche più che storiche, all’Olocausto. «Avere accettato che appena al di là dei confini italiani - scrivono i due autori - si consumasse una strage ininterrotta di migranti e di profughi, affogati nel Mediterraneo, è un efficace metro di valutazione della tenuta dei princìpi ai quali diciamo di ispirarci; dà la misura, cioè, di quale sia nei fatti il valore reale che attribuiamo alla vita di quegli esseri umani” , considerati “sotto-uomini, non persone». Al pari degli ebrei nei lager nazisti.
Come poi questa terribile deriva stia dentro la generale involuzione antropologica che ha segnato tre decenni, ormai, di neoliberismo, Manconi e Resta lo ricordano citando Federico Caffè, l’economista di scuola keynesiana misteriosamente svanito nel nulla nel 1987: “Al posto degli uomini abbiamo messo i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili”. Già, i riequilibri contabili. Guardatevi intorno e osservate gli effetti.
Ma lo fa alimentando la paura, in modi e con toni diversi, che vanno dai titoli di Libero, apertamente razzisti, alle scelte del ministro Minniti, avvallate da tutta la maggioranza che sostiene il governo Gentiloni. La politica, scrivono Manconi e Resta, «può svolgere un compito di razionalizzazione e di negoziazione o, all’opposto, può funzionare da irresponsabile incentivo e detonatore di pulsioni violente». Il disagio creato dai massicci flussi migratori esiste, e non va sottovalutato. Tutto sta nel come quel disagio viene gestito. La frase che dà il titolo al libro, frase che chissà quante volte abbiamo udito, in fondo è - argomentano i due autori - una richiesta di aiuto rivolta dagli italiani alla politica: «Aiutateci a non diventare razzisti».
Manconi e Resta lo dicono, nel loro saggio, che cosa bisognerebbe fare per aiutare gli italiani (e gli europei) a non diventare razzisti. Sarebbe necessario, in primo luogo, invertire la tendenza a produrre leggi e norme che criminalizzano i migranti o, peggio, che applicano ai migranti una legislazione parallela che in larga misura cancella l’obbligo del rispetto dei diritti umani sanciti dalla Costituzione e dalle carte internazionali. Sarebbero necessarie politiche di integrazione a livello Ue che regolino i flussi e stabiliscano percorsi di accoglienza da definire anche attraverso procedure di coinvolgimento e di convincimento delle comunità interessate. Soluzioni indicate non da oggi nel dibattito pubblico nazionale, e sempre largamente disattese da una politica che preferisce fare altre scelte.
Ma non è tanto questo l’aspetto che ci interessa sottolineare del libro di Manconi e Resta. “Non sono razzista ma” è un libro utile soprattutto per un altro motivo: perché richiama l’attenzione sull’abisso che per tutto il continente europeo rischierebbe di spalancarsi se la politica, per una manciata di voti, derogasse alle sue responsabilità. Cancellando l’appiglio, ancora esistente, di quel “ma”, i gruppi dirigenti europei potrebbero aprire la strada a qualcosa che Manconi e Resta, sia pure con le giuste cautele, non esitano a paragonare, nelle sue connotazioni etiche più che storiche, all’Olocausto. «Avere accettato che appena al di là dei confini italiani - scrivono i due autori - si consumasse una strage ininterrotta di migranti e di profughi, affogati nel Mediterraneo, è un efficace metro di valutazione della tenuta dei princìpi ai quali diciamo di ispirarci; dà la misura, cioè, di quale sia nei fatti il valore reale che attribuiamo alla vita di quegli esseri umani” , considerati “sotto-uomini, non persone». Al pari degli ebrei nei lager nazisti.
Come poi questa terribile deriva stia dentro la generale involuzione antropologica che ha segnato tre decenni, ormai, di neoliberismo, Manconi e Resta lo ricordano citando Federico Caffè, l’economista di scuola keynesiana misteriosamente svanito nel nulla nel 1987: “Al posto degli uomini abbiamo messo i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili”. Già, i riequilibri contabili. Guardatevi intorno e osservate gli effetti.