Natura
La scoperta di un botanico: una pianta carnivora vive nello stagno di Platamona
Giovanni Bua
Si tratta della Utricolaria vulgaris, che cattura piccoli organismi acquatici
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Per i botanici sassaresi era diventata una sorta di Sacro Graal. E da oltre trent’anni le davano la caccia tra i canneti dello stagno di Platamona. Eppure della pianta carnivora dai bellissimi fiori gialli non c’era traccia.
L’unica segnalazione della Utricolaria vulgaris, per tutti “erba vescica”, rimaneva quella dell’allora studente di Scienze Naturali, Marco Giau. Che nel 1987 aveva notato, durante il suo corposo lavoro di ricognizione dello stagno su cui ancora oggi si basa il piano di gestione dell’area, i fiorellini gialli, simili (per i profani) a bocche di leone, marchio di fabbrica della piantina dotata, sotto il pelo dell’acqua, di micidiali “trappole”, vescichette (urticoli) sottovuoto, che si aprono quando la preda si avvicina e letteralmente la risucchiano, facendo strage di piccoli organismi acquatici come larve di zanzare e girini.
Una specie unica nell’isola, e molto rara anche nel resto d’Italia (è presente in altre 4 o 5 regioni) che però non era mai stata ritrovata. Con gli studiosi che iniziavano a mettere in dubbio la sua esistenza, e teorizzavano che il pur bravissimo Giau l’avesse confusa con la sua “cugina”, decisamente più comune, l’Utricularia australis.
Non però Giovanni Rivieccio, allora studente di Scienze Naturali, e nel mentre laureatosi in pieno lockdown. Che, dopo aver scoperto insieme alla sua professoressa Simonetta Bagella (presidente del corso di laurea di Scienze Naturali e docente di Botanica e Gestione della biodiversità vegetale) un “habitat” considerato di importanza prioritaria per la conservazione all’interno dello stagno, con la sua segnalazione accolta dalla comunità scientifica e pubblicata su una rivista di rilevanza internazionale, non ha più smesso di dare la caccia all’erba vescica. «Mi sono appassionato – racconta –, e ho deciso che avrei trovato l’Utricolaria vulgaris. Altri avevano provato, uno studente anni fa aveva anche affittato una canoa. Alcuni stavano perdendo la speranza. Ma io ero motivatissimo, soprattutto per l’enorme rispetto che ho per il lavoro di Giau. Ero sicuro che non si fosse sbagliato».
E così, per oltre due anni, ogni gita allo stagno diventa occasione per allungare lo sguardo tra i canneti, a caccia degli inconfondibili fiorellini. «Una mattina – racconta – ero allo stagno con alcune amiche. Loro correvano, io come sempre cercavo. E alla fine è come se la pianta abbiamo trovato me. In una raduretta ho intravisto i fiori gialli. Non ci potevo credere. Sono entrato nello stagno, mi sono avvicinato. Era lei. Ho chiamato la professoressa Bagella. È venuta con me allo stagno. Abbiamo fatto i rilievi, e preso dei campioni, analizzati e classificati. Ora andranno nel meraviglioso erbario della nostra facoltà e in quello di Firenze. E abbiamo preparato una “notula” per Italian Botanist, la rivista della Società Botanica Italiana che è una sorta di database di tutte le specie esistenti e della loro collocazione».
Ultimo atto ufficiale per dire che il Sacro Graal esiste, ed è stato trovato, in una piccola ma rigogliosa colonia di una ventina di individui.
Ora Giovanni Rivieccio è impegnato in una nuova avventura, borsista all’Nrd, l’ormai celebre Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione di Uniss. Ma il suo cuore è rimasto tra le canne dello stagno di Platamona. «Un gioiello da mettere in cassaforte. E da gestire per valorizzarlo. Non solo perché è uno scrigno pieno di biodiversità, ma anche perché è un luogo magico e affascinante. Sicuramente il posto dove ho vissuto una delle mattinate più belle della mia vita, quando ho toccato per la prima volta quei fiori».
L’unica segnalazione della Utricolaria vulgaris, per tutti “erba vescica”, rimaneva quella dell’allora studente di Scienze Naturali, Marco Giau. Che nel 1987 aveva notato, durante il suo corposo lavoro di ricognizione dello stagno su cui ancora oggi si basa il piano di gestione dell’area, i fiorellini gialli, simili (per i profani) a bocche di leone, marchio di fabbrica della piantina dotata, sotto il pelo dell’acqua, di micidiali “trappole”, vescichette (urticoli) sottovuoto, che si aprono quando la preda si avvicina e letteralmente la risucchiano, facendo strage di piccoli organismi acquatici come larve di zanzare e girini.
Una specie unica nell’isola, e molto rara anche nel resto d’Italia (è presente in altre 4 o 5 regioni) che però non era mai stata ritrovata. Con gli studiosi che iniziavano a mettere in dubbio la sua esistenza, e teorizzavano che il pur bravissimo Giau l’avesse confusa con la sua “cugina”, decisamente più comune, l’Utricularia australis.
Non però Giovanni Rivieccio, allora studente di Scienze Naturali, e nel mentre laureatosi in pieno lockdown. Che, dopo aver scoperto insieme alla sua professoressa Simonetta Bagella (presidente del corso di laurea di Scienze Naturali e docente di Botanica e Gestione della biodiversità vegetale) un “habitat” considerato di importanza prioritaria per la conservazione all’interno dello stagno, con la sua segnalazione accolta dalla comunità scientifica e pubblicata su una rivista di rilevanza internazionale, non ha più smesso di dare la caccia all’erba vescica. «Mi sono appassionato – racconta –, e ho deciso che avrei trovato l’Utricolaria vulgaris. Altri avevano provato, uno studente anni fa aveva anche affittato una canoa. Alcuni stavano perdendo la speranza. Ma io ero motivatissimo, soprattutto per l’enorme rispetto che ho per il lavoro di Giau. Ero sicuro che non si fosse sbagliato».
E così, per oltre due anni, ogni gita allo stagno diventa occasione per allungare lo sguardo tra i canneti, a caccia degli inconfondibili fiorellini. «Una mattina – racconta – ero allo stagno con alcune amiche. Loro correvano, io come sempre cercavo. E alla fine è come se la pianta abbiamo trovato me. In una raduretta ho intravisto i fiori gialli. Non ci potevo credere. Sono entrato nello stagno, mi sono avvicinato. Era lei. Ho chiamato la professoressa Bagella. È venuta con me allo stagno. Abbiamo fatto i rilievi, e preso dei campioni, analizzati e classificati. Ora andranno nel meraviglioso erbario della nostra facoltà e in quello di Firenze. E abbiamo preparato una “notula” per Italian Botanist, la rivista della Società Botanica Italiana che è una sorta di database di tutte le specie esistenti e della loro collocazione».
Ultimo atto ufficiale per dire che il Sacro Graal esiste, ed è stato trovato, in una piccola ma rigogliosa colonia di una ventina di individui.
Ora Giovanni Rivieccio è impegnato in una nuova avventura, borsista all’Nrd, l’ormai celebre Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione di Uniss. Ma il suo cuore è rimasto tra le canne dello stagno di Platamona. «Un gioiello da mettere in cassaforte. E da gestire per valorizzarlo. Non solo perché è uno scrigno pieno di biodiversità, ma anche perché è un luogo magico e affascinante. Sicuramente il posto dove ho vissuto una delle mattinate più belle della mia vita, quando ho toccato per la prima volta quei fiori».