La Nuova Sardegna

L'intervista

Evelina Nazzari: «Io, papà e l’amore per la Sardegna»

di Alessandro Pirina
Evelina Nazzari: «Io, papà e l’amore per la Sardegna»

L’attrice figlia del divo del grande schermo riceverà il Premio Alghero Donna: «Mio padre soffrì tanto quando i registi smisero di chiamarlo»

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Il padre è stato un divo del cinema, anche la mamma era ballerina e attrice. Il mondo dello spettacolo era dunque il suo destino. Ma la carriera alla fine non è stata quella che sognava. Evelina Nazzari non si nasconde dietro frasi di circostanza come fanno molti colleghi, ammette candidamente che dal cinema si aspettava di più. Quel cinema che lei ha respirato a casa fin da bambina, figlia unica di Amedeo Nazzari e Irene Genna. Ha avuto di più dal teatro, ed è per quello che stasera riceverà il Premio Alghero Donna insieme a Silvia Ballestra, Silvia Bre e Manuela Moreno. Un riconoscimento speciale della giuria presieduta da Neria De Giovanni.

La prima reazione quando ha saputo del premio?
«Mi ha fatto molto piacere, anche perché per me è sempre un onore tornare in Sardegna, alle mie origini. Insieme alla Grecia, il Paese di mia madre, la Sardegna è la mia anima. Sono il mio Mediterraneo».

Il suo legame con l’isola?
«Nasce la prima volta che venni con i miei per un festival. Avevo 15 anni. Non sapevo di avere tanti cugini a Cagliari. Fu molto emozionante, essendo io figlia unica con una sola cugina di primo grado. Fu una grande sorpresa scoprire che ne avevo tanti di secondo grado. E poi non posso dimenticare una vacanza a Capo Caccia, a 17 anni, di cui parlo anche in un mio libro».

Suo padre, Amedeo Buffa in arte Nazzari, nasce a Cagliari, ma poi si trasferisce a 7 anni a Roma: che ricordi aveva della sua Sardegna?
«Aveva i ricordi di un bambino di quella età. Ricordi che io ho raccontato in una mia autobiografia disordinata, “Spesso sono arrivata seconda. Vagabondaggi autobiografici di un granello di sabbia”, in cui ho cercato di ricostruire anche storie antiche che non mi appartenevano, che mi arrivavano dalla memoria di papà. Lui mi raccontava che si arrampicava sulle Saline, della tragica morte del padre, a cui andò di traverso un osso mentre era a tavola con la famiglia. E ricordava soprattutto il pastificio di mio nonno, che aveva liquidato i fratelli, si mise in proprio ma le cose non andarono bene e quando morì mia nonna scappò a Roma dalla sorella».

Che padre era?
«Molto tenero e permissivo. Forse perché mi aveva avuta a 50 anni, quando neanche immaginava più di avere figli. Era mia mamma la severa di casa».

Era uno dei divi del cinema, lavorò con tutti, da Anna Magnani ad Ava Gardner. Ma è vero che avrebbe dovuto girare un film con Marilyn Monroe?
«Non ho mai capito bene come andarono le cose. Sulla scia del successo di “Le notti di Cabiria” di Fellini trascorse un periodo a Hollywood. Ma lui era un orso: anziché andare alle feste con i produttori se ne stava nei ristoranti con mia madre. E poi non sapeva bene l’inglese. Fatto sta che il film con Marilyn sfumò»

Anche sua madre, Irene Genna, era una attrice.
«Lei voleva fare la ballerina, ma poi iniziò con il cinema. Alla mia nascita si fermò. Ai tempi c’era di più la cesura tra la carriera e la famiglia. Ma accompagnava mio padre sul set, gli faceva ripassare la parte. Era molto partecipe della vita di papà».

Quando iniziò il declino suo padre come la prese?
«Soffrì moltissimo. Era cambiato il genere, si facevano più commedie. I produttori e i registi non lo chiamavano, ma anche lui recalcitrava. Eppure aveva dato prove di grande recitazione in ruoli brillanti. In “Il gaucho” di Dino Risi o in “Frenesia dell’estate” di Luigi Zampa, dove fa un indossatore attempato esilarante. Lui era capace di fare altre cose - aveva fatto di tutto, dai telefoni bianchi ai film in costume - ma non gli arrivavano i copioni. Forse perché non aveva mai fatto il comico, ma lui aveva una vena comica raffinata».

L’Italia ha dimenticato Amedeo Nazzari?
«Le nuove generazioni non sanno chi sia, chi ha la mia età invece se lo ricorda».

E le istituzioni?
«Non si sono comportate come avrebbero dovuto, ma è un difetto italiano. In Francia Jean Gabin, stessa età di mio padre, lo conoscono anche i sassi».

Figlia di due attori, la sua strada era segnata?
«Forse, ma la verità è che ci si casca proprio dentro. Anni fa scrissi un libro con Silvia Toso, “Fratelli d’arte”, con una serie di testimonianze di figli di gente di cinema. Si dividevano in due categorie: o sono scappati e hanno fatto tutt’altro o sono rimasti invischiati come i padri».

I suoi esordi sono in tv come conduttrice.
«Me lo dimentico sempre, non ero portata. Il mio vero esordio è l’anno dopo nel “Cyrano” di Maurizio Scaparro».

Al cinema è la figlia di Alberto Sordi in “Le vacanze intelligenti”. Com’era Sordi?
«Carino, simpatico. Salvo poi in fase di doppiaggio: mi faceva dire cose diverse rispetto al girato. Avevo fatto un anno di teatro ed ero tutta rigore e precisione».

Come mai quella esperienza rimane quasi isolata?
«Perché non ne sono capitate altre. Io ho fatto tre cose grosse nello stesso periodo: il Cyrano, il film di Sordi e uno sceneggiato Rai con Alida Valli - una collega che papà stimava tantissimo -. Dopodiché sono rimasta incinta e quando parti in questo modo, fermarsi e ripartire è sempre faticoso, figurarsi nel cinema».

Ha puntato sul teatro?
«È capitato, ma io avrei fatto più cinema perché mi piace molto. Il teatro è faticoso, ogni sera ricominci daccapo, anche se il pubblico ti gratifica. Sono forme di espressione diverse e un attore dovrebbe farle entrambe. Io avrei voluto fare un po’ tutto».

Anni fa ha vissuto la più grande tragedia per una madre, la perdita di un figlio. È vero che la scrittura le è stata d’aiuto?
«È stata una scoperta nel periodo più buio della mia vita. È stato un modo per tirare fuori il dolore e metterlo da qualche parte. Mi è venuta voglia di scrivere e condividere tutto questo. La scrittura è la mia seconda vita, la mia seconda possibilità. Scrittura e recitazione sono forme terapeutiche. Scrivere un testo come “Torna tra nove mesi” che ho rappresentato con Maddalena Recino è un fatto catartico. Non parliamo di soluzioni, ma di prove per andare avanti».

Ha un sogno?
«Cerco di non farne di molto complicati, se no non si arriva a niente. Mi piacerebbe portare in giro per l’Italia “Torna tra nove mesi”. È uno spettacolo un po’ di nicchia, ma arriva al cuore di tutti. Mi sembra un sogno realizzabile, no?».

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