Silvia Ballestra: «Joyce Lussu è il Novecento, sempre fedele alle sue idee»
La partigiana e attivista nel libro “La Sibilla”
Oggi si conclude il festival letterario “Ligghjendi – Il mare d’inverno” di Cooltour con la direzione artistica di Flavio Soriga. Nel salotto della biblioteca di Santa Teresa si siederanno alle 18 Silvia Ballestra, autrice di “La Sibilla” e alle 19 Gianluca Lioni con “Indagine nell’arcipelago”. Quella della scrittrice marchigiana è un’appassionata biografia su Joyce Lussu. Nelle sue pagine, in estrema sintesi, arriva a scrivere che «è stata il Novecento». Portatrice di tanti aggettivi, talvolta ante litteram: partigiana, femminista, attivista politica e sociale, traduttrice.
Il primo approccio è tra una ragazza poco più che ventenne e una donna di 79 anni.
«Sì, la prima volta che l’ho incontrata avevo 21 anni e avevo pubblicato da poco il mio primo libro. Mi aveva mandato a chiamare nella sua casa nelle Marche perché in quel periodo stava lavorando a un volume collettivo di testi e fotografie, “Streghe a fuoco”, raccoglieva vite di donne. Da lì è cominciata una collaborazione durata nel tempo».
La biografia è frutto di tanti treni regionali per raggiungere San Tommaso, tra Porto San Giorgio e Fermo. Prima degli aspetti noti, cose le ha lasciato umanamente Joyce Lussu?
«Io stavo a Bologna, è stato un periodo lungo di viaggi dal 1991 al 1998. Mi ha lasciato il coraggio, il fatto di essere radicale nelle proprie posizioni, la solidità delle idee che ha portato avanti nel corso della sua vita, e senza avere secondi fini. Esempi così, di questi tempi non se ne trovano...»
All’anagrafe era Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti.
«Sulla scelta del nome, Joyce richiama le nobili origini inglesi. Per quanto riguarda il cognome, in quel periodo non c’era molta alternativa, spettava il cognome del marito. Quando le si chiedeva conto di questo aspetto, a lei donna dalle tante battaglie, rispondeva in maniera chiara e semplice che si era scelta il marito, e di conseguenza anche il cognome».
Joyce ed Emilio, cosa rappresenta la loro storia d’amore e di impegno?
«Scrivere di loro è molto appassionante. Sono due vite estremamente interessanti, anzi è la stessa storia con due voci diverse. La parte che ho approfondito di più è sulle loro azioni in tempo di Resistenza. Per non parlare dell’incontro tra due culture così lontane, quella marchigiana e quella sarda.
Riguardo il ruolo delle donne nella Resistenza, Joyce Lussu ci fornisce forse l’esempio più alto e significativo.
«Non la vedrei in maniera gerarchica, anche perché nel suo “Fronti e frontiere” lei dedica ogni capitolo a una donna diversa conosciuta nella sua continua fuga. Un esempio, Maria Biasini, che nei passaggi di frontiera ha aiutato tante persone. Ognuna a suo modo, le donne hanno avuto un ruolo determinante.
Quanto ha inciso la sua attività da poetessa e traduttrice?
«Tanto, ci racconta poesie in lingue differenti, minori, non considerate all’epoca e nemmeno oggi direi. Con riflessioni sul pensiero e sulla linguistica. La sua è una poesia utile e che racconta lotte e popoli oppressi, lo fa – come Lussu con la storia – in maniera pionieristica, con un pensiero alternativo e all’avanguardia».