La Nuova Sardegna

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Tribunale

Borore, il sindaco Salvatore Ghisu amareggiato: «C’è la prova della mia innocenza»

di Enrico Carta
Borore, il sindaco Salvatore Ghisu amareggiato: «C’è la prova della mia innocenza»

Parla il primo cittadino dopo la condanna per falso e peculato nel processo Hazzard

02 maggio 2024
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Borore Due giorni per metabolizzare la sentenza e poi le prime valutazioni sulla condanna che lo porterà alle dimissioni nelle prossime ore. Salvatore Ghisu, ma il pensiero è comune con quello dell’avvocato Gianfranco Siuni che l’ha difeso nel processo Hazzard, si dice «perplesso e amareggiato. C’è un’intercettazione, negli atti di indagine del pubblico ministero, in cui si sente chiaramente che la riunione di giunta si svolge e che in quell’occasione prendiamo le decisioni». La condanna a quattro anni e tre mesi è arrivata per tre capi d’imputazione – per altri dieci è stato assolto – ed è frutto di un doppio reato, quello di falso perché avrebbe preso delle decisioni sul museo del pane attribuendole proprio alla riunione di giunta che non si sarebbe mai tenuta e quello di peculato per aver pagato una parcella all’agronomo che aveva redatto il piano del bosco.

«Secondo l’accusa – prosegue Salvatore Ghisu – quella riunione di giunta non si sarebbe mai tenuta, ma c’è un’intercettazione in cui si sente chiaramente che la riunione è in corso. Parliamo di svariati argomenti e prendiamo diverse decisioni quel giorno. È tutto registrato, è tutto agli atti e abbiamo ascoltato in aula quell’intercettazione. Come si può dire che non si è tenuta? Ho rispetto della giustizia e delle sentenze, ma in questo caso non posso condividere la decisione dei giudici. Abbiamo rinunciato alla prescrizione proprio perché ritenevamo oggettive le prove che abbiamo prodotto. Non ci fermiamo perché la giustizia deve punire chi sbaglia, ma deve assolvere le persone che lavorano nell’interesse collettivo e correttamente. Siamo quanto mai stupiti perché è stato proprio il principale testimone dell’accusa, il dipendente comunale Angelo Piras, ad ammettere di aver materialmente redatto quell’atto di transazione su richiesta dell’ingegnere Marco Contini (altro imputato condannato assieme al segretario comunale Giuseppe Mura, ndr) . Se l’atto da lui firmato è illegittimo, la responsabilità andrebbe imputata a lui stesso e non ad altri, in quanto titolare del procedimento».

L’avvocato difensore Gianfranco Siuni si sofferma maggiormente sulla questione del pagamento della parcella per il piano del bosco, redatto da un agronomo al quale vennero corrisposti 3.672 a fronte degli oltre seimila inizialmente pattuiti: «Quando la somma viene pagata, l’agronomo era creditore del Comune da sei anni, periodo in cui Salvatore Ghisu non era sindaco. Era poi arrivata una lettera di diffida che dava dieci giorni all’amministrazione per saldare il debito e, a seguito di ciò, si arrivò a un accordo che, tra l’altro, fece risparmiare al Comune circa 3mila euro. Si contesta il peculato, ma la somma non è mai stata nella disponibilità del sindaco, è l’ufficio che dispone il pagamento dietro il parere del responsabile».

Non è solo il sindaco a esternare il suo pensiero all’indomani della sentenza. Lo fa anche il responsabile dell’Ufficio tecnico Marco Contini, assolto per tre capi d’imputazione e condannato per falso per la vicenda del museo del pane. Sono gli avvocati Wally Salvagnini e Pierluigi Cappai a esporre le loro perplessità, annunciando sin da ora appello: «L’operato dell’ingegnere non ha avuto alcuna censura e anzi ha trovato pieno accoglimento l’impianto difensivo a comprova del fatto che il suo operato è sempre stato nel rispetto della legge. Il capo di imputazione riguardava, secondo le prospettazioni dell’accusa, la riunione di giunta che non sarebbe mai avvenuta. C’è l’intercettazione ambientale, disposta dal pubblico ministero e prodotta in giudizio, che dimostra l’esatto contrario: la riunione si è effettivamente tenuta e le delibere adottate sono due. Stranamente si procede penalmente solo per una, salvo poi, all’esito del dibattimento, dichiararle entrambe false, anche quella non oggetto del capo di imputazione. Non è dato comprendere quale ruolo determinante abbia avuto nelle delibere il nostro assistito, posto che le delibere vengono adottate esclusivamente dai componenti della giunta comunale. I tecnici, non solo non partecipano alle delibere, ma formulano semplicemente pareri per di più non vincolanti. In questo caso l’ingegnere Marco Contini, come dimostrato in dibattimento, non era presente alla riunione di giunta, si trovava in altra sede a eseguire controlli in un cantiere. Attendiamo di leggere le motivazioni per capire il perché siano condannati il sindaco Salvatore Ghisu e l’ingegnere Marco Contini e non gli altri componenti della giunta comunale che, qualora fosse stata vera la prospettazione accusatoria, sarebbero stati i veri e unici concorrenti nel reato. Il nostro assistito, non avendo partecipato né avendo alcun titolo né potere decisionale, mai poteva rappresentarsi o avere coscienza e volontà di commettere un reato».

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