Tempio, la prima intervista del vescovo: «L’emergenza giovani è la priorità»
Il bilancio di Roberto Fornaciari a un anno dall’arrivo in Gallura: «C’è il grave campanello d’allarme dei suicidi, troppi i ragazzi che abbandonano gli studi»
Tempio. Poco più di un anno fa il vescovo di Tempio Ampurias, Roberto Fornaciari, faceva il suo ingresso a Tempio. Era il 17 settembre 2023 e, il giorno prima, aveva già avuto modo di abbracciare la sua diocesi con la grande cerimonia di Olbia, seguita da Tempio, e, infine, Castelsardo, terza e ultima tappa di un progressivo insediamento in una realtà del tutto nuova. Ha avuto inizio così, per l’ex priore del monastero di Camaldoli, il magistero episcopale in una delle diocesi più grandi dell’isola. Facile immaginare come col tempo sia riuscito a conoscerne meglio le diverse realtà territoriali. Conoscerle e apprezzarle nella loro evidente diversità. Un anno è un lasso di tempo più che sufficiente per chiedergli se è stato davvero così.
È così che, nelle sue aspettative, aveva immaginato la terra di cui è diventato il primo pastore?
«Non avevo una grande conoscenza della Sardegna e, tanto meno, della Gallura. Per me è stato tutto completamente nuovo. Immaginare ciò che non si conosce è rischioso. Così, dopo l’elezione, ho fatto un viaggio di due giorni per una prima conoscenza dei luoghi e dei sacerdoti. Ho trovato persone disposte a lavorare e organizzare anche la mia ordinazione e ingresso. Il mio tentativo non ancora concluso è conoscere questo nuovo contesto diocesano e comprenderne mentalità e tradizioni religiose».
Amministra una delle diocesi più eterogenee e grandi della Sardegna. Quali sono le differenze più marcate che ha avuto modo di scoprire?
«Eterogenea? Non l’ho pensata così. Esistono due zone con diversa storia e sviluppo: l’Anglona, con un’indole più vicina al mondo contadino e una religiosità più tradizionale accentuata nella popolazione. In Gallura, invece, esclusa Tempio e dintorni, tutto si è fatto di recente. All’inizio mi sorprese vedere che così tante chiese erano state erette nel ‘900. Ciò non vuol dire che in quell’area non ci fosse una vita religiosa. La presenza del clero era quasi irrisoria, se è vero che da Tempio si andava per gli stazzi. C’era un’assenza di presenza».
Da Olbia a Tempio sino a quei piccoli, sempre più piccoli e isolati centri dell’interno che si spopolano: la preoccupa tanta difformità?
«Olbia crescerà ancora, ma cresce in tutta la Sardegna, e abbiamo la fortuna di averla. Dobbiamo poi vedere com’è questa crescita. Spontanea? Troppo rapida? Ben governata? La complessità è forte, ma la sfida va vista positivamente, affrontandola con politiche sociali e ambientali corrette. E la sfida va vista anche da un punto di vista religioso perché tante presenze diverse creano situazioni diversificate. Vedo queste come qualcosa di importante che ci mette al pari con le realtà delle grandi città. Abbiamo un dialogo interreligioso da far partire, una grande denatalità e la fuga dei giovani. Questi sono i problemi da affrontare».
I giovani, allora. Il loro mondo appare non poco refrattario al richiamo di quello degli adulti. Quanto è pesante e preoccupante la loro assenza?
«Sono sempre meno nelle parrocchie. In diocesi ci interroghiamo su come comunicare la fede e sul linguaggio più appropriato per relazionarci a loro. Il problema è aperto. Ho appena provveduto a riorganizzare i servizi pastorali della diocesi, anche quella giovanile. La nuova équipe si farà sentire attraverso quella che chiamiamo pastorale di prossimità».
Quali sono le emergenze da affrontare e con quali priorità?
«Il modo giovanile è la prima. Penso all’impegno dei giovani nelle attività turistiche e all’interruzione delle scuole superiori che mi lascia molto perplesso. Le famiglie dovrebbero accorgersi dell’impoverimento che ne scaturirà. È diritto dei giovani una vera formazione. Vivere con la disoccupazione non è una prospettiva. Serve un’inversione di rotta».
Un’altra emergenza che le dà pensiero?
«C’è il grave campanello d’allarme dei suicidi. È vero che si tratta di situazioni diverse, ma il punto interrogativo riguarda tutti. C’è chi non ha potuto trovare solidarietà attorno a sé».
Un’ultima domanda: come vivrà la diocesi la grande ricorrenza del Giubileo?
«Siamo in un cammino di conversione a Dio, personale e comunitario, in un percorso di riconciliazione. Apriremo l’anno santo il 29 dicembre nella cattedrale. Le tre chiese giubilari di Tempio, Olbia e Castelsardo saranno i luoghi in cui andare ordinariamente per vivere il pellegrinaggio. Per eventi specifici opereranno anche i due santuari mariani di Tergu e Luogosanto».