La Nuova Sardegna

Olbia

Il racconto

Alluvione di Olbia, il vigile del fuoco: «La gente urlava, ci chiedeva aiuto»

di Serena Lullia
Alluvione di Olbia, il vigile del fuoco: «La gente urlava, ci chiedeva aiuto»

Eugenio Degortes racconta il suo 18 novembre 2013: «Quando piove penso a quel giorno in cui la pioggia ha messo in ginocchio la mia città»

19 novembre 2024
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Olbia Gli occhi diventano lucidi quando ricorda quel 18 novembre 2013. Difficile per Eugenio Degortes, vigile del fuoco in pensione da due anni, ma 11 anni fa in prima linea, non pensare alla disperazione di quelle ore. Alle persone che urlavano chiedendo aiuto, ai quartieri inghiottiti dall’acqua e dal fango, a chi non si è salvato. Degortes nel novembre del 2013 era caporeparto dei vigili del fuoco del distaccamento di Olbia e referente del soccorso speleo-alpino fluviale della zona Gallura. Quando il ciclone Cleopatra si preparava a scatenare la sua furia sulla Sardegna, stava facendo una sostituzione ad Arzachena. 

A distanza di 11 anni cosa ricorda di quel 18 novembre 2013?

Alle 14 vengo chiamato dalla centrale, dopo aver sollecitato più volte di poter andare da Arzachena a Olbia e mettermi in assetto: muta, salvagenti, gommone e tutto quello che concerne un soccorso fluviale. Vengo mandato a Olbia per andare a recuperare una macchina inghiottita da un fiume a Pinnacula. Arrivo in caserma, da solo. Fortunatamente trovo un collega. “Ma siamo in due?”. “Si, siamo in due”. “Va bene, dai andiamo e vediamo cosa possiamo fare”. Raggiungiamo il fiume, tra l’altro vicino alla sede del distaccamento di Olbia e troviamo un mare di acqua. Non era più un fiume, si era allargato talmente tanto. La macchina non c’era. Richiamo la centrale che era incasinatissima di richieste di interventi e mi mandano alla scuola di Maria Rocca. 

La scuola di Maria Rocca era stata letteralmente travolta dall’acqua e molte maestre erano rimaste intrappolate. 

Grande difficoltà ad arrivare a Maria Rocca, un mare di acqua da tutte le parti. Arriviamo e trovo un mio collega, in abbigliamento consono, da vigile del fuoco ma non da operatore acquatico. Quindi acqua dentro gli stivali, pantaloni bagnati. Cingeva una signora nella barriera delle inferriate del cortile della scuola. Riusciamo a mettere in salvo la signora. Ma c’erano anche delle persone da prendere all’interno della scuola. Mi giro e vedo che l’acqua arrivava a metà delle finestre. Per fortuna l’edificio era a due piani. Troviamo un altro collega di Tempio, Francesco, in tenuta fluviale. Programmiamo una telfer, una teleferica, per arrivare direttamente alle finestre della scuola. Come abbiamo posizionato il gommone siamo stati investiti da alcune macchine che entravano dentro il cortile, trasportate dall’acqua. Rovescia il gommone, straccia la fune. Insomma, perdiamo dei materiali ma non molliamo. Riprogrammiamo il tutto e andiamo a prendere queste persone, riusciamo a metterle sul gommone e portarle in salvo. 

Nel frattempo arrivavano richieste di intervento da altre parti di Olbia..

Esattamente. Quando ci avevano dato l’intervento di Maria Rocca, nel frattempo ci avevo chiesto di andare a Putzolu in modo urgente, non ci avevano detto che si trattava di un padre con il bambino. Quindi, finito l’intervento in zona Bandinu, ci riportiamo al mezzo e ci rimettiamo in marcia. Facciamo via Grecia ma lì veniamo investiti da un’ondata di piena pazzesca. Sposta il camion che avevamo, con il gommone, il carrello e ci sbatte su una casa. A quel punto eravamo bloccati.  

Quello è stato il momento in cui ha capito che non era un nubifragio qualsiasi?

Si. Tanta acqua, il mezzo che non si muoveva più. Disarmante. Con una potenza di questo genere: anche se eravamo tre uomini vestiti in muta, equipaggiati e addestrati ad affrontare l’acqua, ci siamo resi conto che c’era davvero troppa acqua. E che c’era tanta gente che aveva bisogno. Ricordo le urla delle persone, che ci chiedevano: “Vai a prendere mia mamma”, “Vai a prendere mio fratello”. Abbiamo quini fatto un punto di raccolta obbligato, non potendoci più muovere. Sono arrivate delle ambulanze e con il gommone facevamo la spola per andare nelle case a prendere le persone. 

Che situazioni trovavate?

Mi ricordo una donna anziana, sopra il tavolo. Un’altra donna, in cinta, seduta sulle scale, con l’acqua fino al petto. Prioritario quindi portarla in ospedale. Ci hanno fatto sapere poi qualche giorno che la signora, all’ottavo mese di gravidanza, rischiava di perdere il bambino. Ma poi per fortuna tutto è andato bene. 

Che cosa ha provato quando ha sentito parlare di vittime quella sera? 

Io ho cominciato a sentire parlare di vittime sul tardi, verso le 22. Sulla via Roma, sulla rotatoria, nel ponte di ferro per intenderci, avevamo creato una nuova zona in cui portare le persone soccorse. Arriva una nostra macchina da Sassari che ci dice che ci sono delle vittime sulla strada di Monte Pinu dove è crollato un ponte. Poi un’ora dopo ci è arrivata un’altra richiesta di intervento in via Lazio, per recuperare il corpo di una anziana signora che era morta bloccata in casa. 

La sua squadra ha ricevuto la richiesta di intervento anche per una macchina caduta nel fiume in zona Bandinu. Era quella in cui trovarono la morte mamma Patrizia con la piccola Morgana. 

Abbiamo provato a intervenire e fare questa verifica. Siamo dovuti passare con una barca a motore di un pescatore. L’acqua era talmente tanta che era impossibile approntare alcun tipo di intervento. 

Il giorno dopo il passaggio del ciclone Cleopatra è stato impegnato anche in un altro tipo di intervento, legato alla verifica dei canali tombati. 

Dal momento del primo intervento erano passate 36 ore con la muta addosso. Poco riposo, difficile vedere le cose in modo razionale. Ma mi balenava il pensiero dei nostri canali tombati, io ne ero a conoscenza e sottoposi il problema al nostro comandante e che una verifica sarebbe stata opportuna anche perché sopra c’erano case, c’erano strade e potevano essere pericolose per la pubblica incolumità. Quindi ci è stato dato l’incarico di andare a verificare lo stato dei canali. Ciò che è emerso è stato un disastro totale. All’interno l’ondata di piena aveva portato di tutto: recinzioni, ringhiere, reticolati, porte, finestre, barche. Di tutto. Si è poi programmata la disostruzione che è durata fino a marzo. Un lavoro immane. 

Ripensa mai a quella giornata di soccorso, 36 ore nel fango e nell’acqua?

Quando piove in un certo modo, mi torna in mente il disastro provocato a Olbia. La mia città messa in ginocchio da così tanta acqua che è stata distruttiva. Ci penso, ci penso sempre. Fortunatamente penso alle tante persone a cui siamo riusciti a dare una mano e che abbiamo salvato.   

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