La compagna dell’orafo di Arzachena ucciso: «Ho sentito un urlo e un rantolo»
Anna Maria Cudoni era al telefono con lui quando il figlio Michele lo ha colpito con la mazza
Arzachena «Ero al telefono con Giovanni, poi, ho sentito un urlo fortissimo e un rantolo... Ho iniziato a chiamarlo, “Giovanni ci sei? Mi senti?” gli dicevo, ma non rispondeva, c’era silenzio. Ho tenuto la telefonata in linea per un paio di minuti. Poi, ho chiuso e l’ho richiamato. Squillava, ma non rispondeva...». A ripercorre in Corte d’assise i momenti della tragica notte del 28 dicembre di un anno fa, quando Giovanni Fresi, orafo di Arzachena, fu colpito con violenza con una mazza in legno dal figlio Michele, è stata la sua compagna, Anna Maria Cudoni. L’unica ad aver assistito, anche solo per telefono, al momento in cui il 28enne, in preda agli effetti devastanti di droga e acidi, completamente fuori di sé, aveva sferrato parecchi colpi contro il genitore, provocandogli profonde ferite alla testa e lasciandolo tramortito sul marciapiede di via Ruzzittu, nel centro del paese, convinto di avere davanti a sé un alieno.
Anna Maria Cudoni e Giovanni Fresi, si conoscevano da piccoli. Si erano fidanzati nel 2012 e ultimamente erano andati a vivere insieme in un’abitazione che avevano ristrutturato, in via Brescia. Rispondendo alle domande del pubblico ministero Claudia Manconi e delle parti, la donna, – costituita parte civile con l’avvocato Massimo Schirò – ha spiegato che quella notte, dopo essere rientrati da una cena, qualcuno aveva chiamato al cellulare il suo compagno per avvisarlo che il figlio stava andando in giro per il centro scalzo e a petto nudo, urlando e brandendo una mazza in legno. «“Mi hanno chiamato dal bar Prestige, c’è Michele che sta facendo casino”, mi ha detto Giovanni. Si è vestito ed è uscito. All’una meno dieci mi ha chiamato e mi ha detto: “Sono ancora qua che devo accertarmi di alcune cose”. Poi ho sentito un urlo e un rantolo...». La testimone ha spiegato che nei loro cellulari c’era un’applicazione con la geolocalizzazione e grazie a quella ha visto che il compagno si trovava in via Ruzzittu. «Quando sono arrivata, l’ho visto per terra, due ragazzi gli tenevano la testa, era tutto pieno di sangue», ha detto.
Anna Maria Cudoni ha ripercorso tutti i momenti fino all’arrivo al pronto soccorso di Olbia, dove l’uomo era morto poco dopo. Un racconto lucido e preciso. Sopraffatto dalle lacrime quando il suo avvocato le ha mostrato una foto che li ritraeva insieme. «È quando ci siamo fidanzati, mi aveva regalato una fedina». La donna ha riferito che Giovanni sapeva che il figlio assumeva droghe e che voleva portarlo in un centro. In passato, aveva commesso diversi furti. «Giovanni era convinto che Michele non gli avrebbe mai fatto del male». Un’altra testimonianza toccante è stata quella di un cugino di Michele, Nadir. Era molto legato all’orefice. Quella notte anche lui era stato avvisato da amici del comportamento di Michele, e si erano sentiti per telefono con lo zio. «Quando l’ho chiamato, sentivo Michele che urlava, diceva che c’erano gli alieni, e mio zio gli diceva “Michele sono babbo, non mi riconosci?». Era stato il giovane a trovare per primo Giovanni Fresi accasciato sul marciapiede in una pozza di sangue. L’ambulanza era arrivata parecchio tempo dopo, come ha spiegato lo stesso ragazzo. In apertura di udienza sono stati sentiti quattro carabinieri che hanno spiegato l’attività investigativa svolta. Anche ieri Michele Fresi, difeso dall’avvocato Pierfranco Tirotto, era presente in aula.