Neonato morto dopo il parto a Oristano, ai genitori maxi risarcimento da 810mila euro
Secondo i consulenti ci fu colpa medica nel reparto di Ginecologia dell’ospedale San Martino per le cure non prestate alla donna che arrivò sofferente
Oristano Un errore che costò una vita. Un errore che costa anche il pagamento di un risarcimento da 810mila euro a una coppia di Terralba, vittima di un caso di errore medico commesso dal reparto di Ginecologia del San Martino. Erano le primissime ore del mattino del 31 maggio 2018 quando una trentenne incinta si presentò all’ospedale spiegando di avere determinati sintomi che collegava alla sua gravidanza.
Non stava bene e segnalò ai medici di aver bisogno di cure, ma quel che accadde da quel momento in poi rientra nei casi in cui un errore o più di uno può essere fatale. La diagnosi iniziale fu infatti errata e da questa discese tutta una serie di ulteriori decisioni che poi portarono alla nascita prematura del bambino con taglio cesareo e alla successiva morte del neonato che poche ore più tardi si spense.
La storia di questa vicenda è stata ripercorsa dai consulenti tecnici che sono arrivati a stabilire che vi sia stata colpa medica e, prima ancora che si arrivasse a un’eventuale causa civile, grazie alla mediazione degli avvocati Fabio Costa e Marco Mascia, si è giunti a un accordo tra le parti che si è concluso con il pagamento del risarcimento che l’assicurazione Reale Mutua ha riconosciuto ai genitori.
La disamina, del resto, lasciava poco spazio a eventuali dubbi e ha stabilito che vi siano stati «comportamenti inadeguati, sotto i profili della perizia e prudenza da parte dei sanitari della Ginecologia dell’ospedale di Oristano, per non avere tempestivamente diagnosticato un quadro di ipertensione grave evoluta successivamente in pre-eclampsia materna esistata – è una patologia della gravidanza, potenzialmente letale, caratterizzata da convulsioni – e per non avere ottemperato alle regole di sicurezza per la madre, ma soprattutto per il feto, costretto a nascere in centro inadeguato dal punto di vista della terapia intensiva neonatale». Allo stesso tempo “assolvono” il cardiologo che esaminò le condizioni della signora e l’anestesista «che anzi contribuirono a limitare i danni, almeno quelli a carico della madre».
Secondo quanto riportato, c’erano i segnali di una situazione che volgeva al peggio, cominciando dalla pressione altissima registrata alla paziente all’ingresso. Di fronte a questa e ad altre evidenze, la madre in attesa fu sottoposta esclusivamente a un’unica iniziale ecografia e quindi fu mandata in cardiologia senza che venissero avviate le terapie che avrebbero potuto scongiurare le gravi difficoltà in cui poi si venne a trovare il feto e di conseguenza in neonato. L’aver trattato il caso come di esclusiva competenza della cardiologia fu un altro grave errore, perché di tutto si sarebbe dovuta occupare la Ginecologia.
Altra colpa che viene evidenziata è quella di non aver mai considerato «l’ipotesi di un trasferimento della paziente in una struttura di secondo livello al primo esordio di un quadro di preeclampsia in paziente con feto molto prematuro. Fu viceversa ritenuto opportuno eseguire il taglio cesareo prevedendo un trasferimento pediatrico».
Sarebbe servita una rianimazione neonatale, ma il San Martino non l’aveva. Dopo dieci ore dal momento in cui la signora era arrivata all’ospedale, si decise che il quadro clinico non consentiva di attendere ulteriormente e si decise di far venire al mondo il piccolo con il cesareo. Non fu sufficiente: immediatamente dopo la nascita, fu trasportato d’urgenza all’ospedale di Sassari, ma era appena giunto quando, attorno alle 13, arrivò la notizia della morte.