Invasione di fast food e supermarket, l’esperto: «Meglio i prodotti locali, ma le piccole botteghe non sono state al passo»
Giuseppe Melis, professore di marketing all’Università di Cagliari e Oristano, analizza il fenomeno
Oristano Quattro fast food e supermarket della grande distribuzione che spuntano come funghi in un territorio, tra città e frazioni, che conta poco più di 32mila abitanti, hanno creato grande polemica tra gli oristanesi. Millennials e non solo sono tutti d’accordo: «Non è il modo giusto di portare crescita sul territorio». E probabilmente le loro perplessità sono fondate da un dato statistico che le avvalora: «Secondo gli ultimi dati a disposizione, la grande distribuzione organizzata copre 340 metri quadri di superficie per ogni singolo abitante di Oristano. Numeri monster rispetto alla media nazionale di 289 metri quadri calcolati per ogni cittadino». Lo afferma Giuseppe Melis, professore di Marketing all’università di Cagliari e al Consorzio Uno di Oristano che spiega lo strano fenomeno e le sue possibili ragioni.
- 340 metri quadri per abitante. È preoccupante? «Secondo me è un dato esagerato. Anche se la Sardegna storicamente presenta un dato sempre più alto su questo tema anche rispetto alle province del Nord Italia. Basti pensare che a Sassari, ad esempio, i metri quadri coperti dalla grande distribuzione per ogni singolo abitante sono addirittura 500». Quali sono i motivi? «Il dato è dovuto alla scarsa programmazione a livello regionale, soprattutto relativamente alla promozione dei prodotti locali e dei piccoli commercianti tradizionale, che a mio parere si sono cullati sugli allori».
- In che senso? «Molti non hanno pensato a innovarsi e a trovare il modo di essere più competitivi. Chi sa lavorare riesce a fare cose egregie, ma sono pochi casi. Questo vale anche per i fast food che hanno l’unico vantaggio di riuscire ad abbattere i costi di produzione. I nostri “paninari” però non fanno una grande promozione sui nostri prodotti tipici di qualità. Dovrebbero magari investire di più in campagne di informazione».
- Ma le aperture forsennate si possono contrastare? «No. Le possibilità di evitare nuove aperture sono tendenti a zero perché questo si scontrerebbe con la normativa sulla libera concorrenza. Finché non ci saranno degli studi che ne appurino i danni, ad esempio sulla salute o sull’ambiente, questo è impossibile. Quello che conta di più è avere un consumatore informato, così come è importante il dato sul risparmio. Il consumatore, infatti, tende sempre a spendere meno e questo non sempre va a favore della scelta del prodotto locale».
- A Oristano si lamentano. «Bisogna però capire se chi si lamenta lo fa in quanto commerciante o in quanto semplice cittadino. Perché se sono i secondi a farlo, pur andandoci e garantendo guadagni e grandi numeri, vuol dire che la grande distribuzione ha ragione a voler investire in quel territorio».
- Il segreto sarebbe quindi quello di concentrarsi sui prodotti locali? «Ma in Sardegna lo facciamo già. Secondo l’analisi dello scontrino medio, un sardo acquista sempre un 30 percento di prodotti locali, un dato molto più elevato di quello nazionale. Abbiamo la cultura del prodotto, nonostante paghiamo un deficit incredibile dato dal fatto che importiamo l’80 percento dei nostri prodotti». Esiste però anche un rapporto tra grande distribuzione e produzioni locali. «È vero, ci sono tante insegne, ma sono tutte diverse tra loro. Nel senso che si comportano diversamente rispetto ai prodotti locali. Alcune, permettono anche ai piccoli artigiani del territorio di vendere i loro prodotti garantendo qualità. Quelli che danno meno valore ai prodotti locali sono i discount».
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