La Nuova Sardegna

Il caso

Don Gaetano Galia: «In tanti al lavoro per fare uscire la bimba dal carcere di Sassari»

di Federico Spano
Don Gaetano Galia: «In tanti al lavoro per fare uscire la bimba dal carcere di Sassari»

La madre ha però rifiutato alcune soluzioni. Il post su Facebook del cappellano di Bancali: «La mamma deve fare il suo percorso di riabilitazione». La donna vive ad Alghero e ha altri quattordici figli

20 agosto 2024
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Sassari La vicenda della bambina di dodici mesi rinchiusa in carcere a Bancali con la madre ha fatto molto discutere. I post pubblicati sugli account social della Nuova Sardegna hanno ricevuto una valanga di commenti. Il messaggio è stato univoco: nessun bambino può essere costretto a vivere in una cella, o nei corridoi di un carcere, per quanto possa essere trattato bene (e la piccola è trattata benissimo a Bancali, con le massime cure e il massimo affetto possibile in una condizione simile).

Ogni vicenda, per essere capita fino in fondo, deve essere spiegata nella sua complessità. Sul fatto, con un post su Facebook, è intervenuto don Gaetano Galia, cappellano del carcere di Sassari, che ben conosce la situazione. Ecco il testo integrale del suo intervento. «Credo sia giusto dare qualche spiegazione. Tutte le istituzioni: tribunale di Sorveglianza, direzione del carcere, area educativa del carcere, Uepe, servizi sociali comune Alghero, cappellano, da giorni stanno cercando una soluzione, perché la bambina esca. Ed è apprezzabile l’interesse dell’opinione pubblica e della garante regionale Irene Testa. Spero che ci crediate: nessuna delle persone elencate è così sadica da godere o essere indifferente al fatto che una bambina sia in carcere. Le soluzioni si troveranno a breve. Però mi piacerebbe che comprendeste che le autorità vorrebbero proteggere anche tutti voi dalle persone che delinquono e utilizzano i figli per non entrare in carcere. Alla signora sono state fatte proposte concrete che ha rifiutato. Facciamo fronte comune: la bambina deve uscire quanto prima! Su questo non ci piove, ma la mamma deve fare il suo percorso di riabilitazione perché impari a rispettare le cose altrui. Ci vuole conoscenza delle cose ed equilibrio. Io difendo sempre gli ultimi. Ma in questo caso gli ultimi sono due: la bambina e le famiglie che subiscono furti, restando spesso traumatizzati da questi episodi».

La mamma è finita in carcere perché deve scontare tanti anni per un cumulo di pene. La donna è residente ad di Alghero, dove ad aspettarla ci sono altri quattordici figli. Una delle soluzioni proposte è stata quella di trasferirla in un Icam (Istituto a custodia attenuata), o a Senorbì (struttura creata nel 2014, ma mai aperta), oppure in continente. La donna però ha rifiutato, perché dovrebbe stare lontana dagli altri quattordici figli, molti dei quali molto piccoli. Altra soluzione prospettata è stata quella del braccialetto elettronico.

«La madre vorrebbe ottenere gli arresti domiciliari per poter stare con la piccola a casa e con gli altri figli – spiega don Galia –. Purtroppo è tipico di alcune culture fare figli per non andare in carcere, facendo figli si ottiene il differimento della pena. Il fatto è che chi fa errori deve prendersi le proprie responsabilità. Uno dei problemi della nostra società è che non educa alle conseguenze dei comportamenti. So che il Comune di Alghero sta facendo di tutto per inserire la donna, con la piccola, in una comunità protetta».

Per rendere ancora più leggibile la vicenda, quella che potrebbe sembrare la responsabile della situazione, ossia una madre di quindici figli con tanti anni di carcere da scontare, è a sua volta una vittima. Per questo è necessario ribaltare la prospettiva. «Nella sua cultura di origine, le donne sono costrette a portare soldi in casa – spiega il cappellano del carcere –, se le donne non fanno quello che viene loro richiesto, vengono maltrattate, o peggio. In ogni caso, chi nasce in Italia o viene a vivere in Italia, pur avendo una cultura diversa, si deve adeguare alle nostre leggi e rispettare i diritti che noi vogliamo vengano garantiti».

La vicenda della piccola in carcere è stata raccontata nei giorni scorsi dalla garante dei detenuti della Sardegna, Irene Testa. «È stato un impatto molto forte, molto triste – aveva raccontato –. Qualcosa che non si vorrebbe mai vedere in un carcere. È difficile accettare una situazione del genere, è inconcepibile che una bimba così piccola possa stare in una cella così piccola. La chiamano cella nido, ma è una cella a tutti gli effetti. La piccola ha le attenzioni di tutto il personale del carcere , è trattata benissimo e mi sono resa conto che da quel punto di vista hanno tutti una grande attenzione. Anche le istituzioni preposte si sono adoperate per risolvere questa situazione. La mamma finora ha rifiutato le proposte che le sono state fatte, ma è chiaro che un punto è sicuro: la bimba non può stare lì e non può crescere dentro un carcere».

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