La Nuova Sardegna

L’intervista

Angelo Binaghi: «Il tennis italiano è al top ma lo faremo crescere ancora»

di Andrea Sini
Angelo Binaghi: «Il tennis italiano è al top ma lo faremo crescere ancora»

Il presidente Fitp appena rieletto: «Stiamo raccogliendo i frutti del lavoro»

02 settembre 2024
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Sassari «Dopo tanti anni di impegno e duro lavoro, la soddisfazione più bella è vedere quale sia lo spessore umano dei campioni che abbiamo coltivato. Certo, anche vincere i trofei non dispiace affatto». Passaporto in mano e riconferma in tasca, il presidente della Federazione italiana tennis e padel Angelo Binaghi risponde al telefono dall’aeroporto di New York, dove è appena sbarcato per assistere all’incontro di Jannik Sinner agli Us Open. Il dirigente cagliaritano, in carica dal 2001, sabato a Salerno è stato rieletto alla guida della Fitp con il 96,23% dei voti accreditati.

Presidente Binaghi, si aspettava questa sorta di plebiscito?

«Onestamente no. Soprattutto non mi aspettavo un’affluenza così alta, la più alta di sempre. Abbiamo superato il 75% degli aventi diritto, per altro in un weekend d’estate. È una risposta importante da parte del sistema, di tutta la struttura federale».

D’altronde avete il vento in poppa.

«Sì, è un momento nel quale ovunque si giochi a tennis è tutto pieno: nei campi, nei palazzetti, negli stadi. Davvero un bel vedere. Ma prima non era così. Ricordo sempre che quando siamo partiti avevamo giocatori mediocri a livello mondiale, che non erano neppure l’esempio migliore di comportamento e comunicazione di principi sani. Oggi abbiamo Sinner, Paolini, Berrettini e tutti gli altri. Che sono campioni in campo ma anche fuori, sono il migliore spot per il nostro sport di fronte ai ragazzi. È la cosa più importante fatta in vent’anni, ci abbiamo lavorato tantissimo».

In che modo?

«Uno dei primi doveri di un grande campione è essere un esempio positivo per le nuove generazioni. Prima non era così e abbiamo dovuto reimpostare tutto il sistema dall’inizio. Penso ai centri estivi, alla didattica, alle gare a squadre sino alle nazionali. Abbiamo portato nel tennis dei codici di condotta e grazie alle strutture a livello locale abbiamo fatto passi da gigante. È stato un cammino lungo, come lo sono i processi di tipo educativo. Ma oggi abbiamo campioni e campionesse splendide che esprimono bei concetti e soprattutto gioia. Hanno anche un altro merito».

Quale?

«In media sono molto meno tatuati dei calciatori...».

Un tennista con i tatuaggi per lei è un problema?

«No, ma ne sono orgoglioso e mi fa piacere sottolinearlo».

A proposito di altri sport, conferma che la presidenza del Coni non le interessa?

«Neanche se mi pagassero. Per me il tennis non è come il tiro al piccione, con tutto il rispetto. La nostra federazione gode di ben altro interesse, ha ben altri volumi di cose da fare, di seguito e di fatturato».

Siete cresciuti molto anche nei bilanci.

«Il Coni, per capirci, ha un bilancio che è meno della metà di quello che noi avremo quest’anno. Insieme a Federcalcio e Sport e Salute la Fitp è l’istituzione sportiva più importante che ci sia in Italia, anche in termini di attività che svolgiamo tutto l’anno».

In cosa potete ancora crescere?

«Intanto vogliamo cercare di vincere tutto quello che capiterà sul campo. Fuori dobbiamo ancora lavorare per far diventare i nostri sport sempre più popolari, facendo crescere anche la struttura della Fitp: quindi scegliere persone migliori, entrare nella scuola dell’obbligo, nei giornali».

In che senso?

«Abbiamo visibilità e successi, ma in Sardegna arriviamo sempre dopo 27 pagine di calcio e di altri sport. È un problema culturale. Tenete presente che Sinner in tv fa gli stessi ascolti della nazionale di calcio. E in più vince...».

Alle Olimpiadi il tennis italiano è andato alla grande nonostante l’assenza di Sinner.

«Per il tennis il torneo olimpico non è il più importante del quadriennio e neppure dell’anno. Ci siamo presentati senza il miglior giocatore e ciò nonostante abbiamo regalato all’Italia un oro e un bronzo. Anche grazie a questo il Coni si bea dell’ottavo posto nel medagliere. A noi, che senza Sinner siamo arrivati secondi nel nostro medagliere, durante l’anno per un 8° posto ci prenderebbero a pernacchie...».

Dice spesso che dietro la grande crescita del movimento italiano c’è la Sardegna. Cosa intende dire?

«Dall’isola abbiamo portato un certo modo di gestire le società sportive, basato sulla serietà e sul principio che si debba premiare il merito. In Sardegna abbiamo da anni tante società che lavorano bene, entrano nelle scuole, si occupano di sociale. Sono straordinari centri di aggregazione che educano allo sport e alla competizione. Senza contare che i tornei del Forte Village sono una pietra miliare. Tutti i migliori sono passati da là».

Alla Sardegna manca un campioncino di livello internazionale. Arriverà?

«Lorenzo Carboni è sulla strada giusta. Ci sono ottime scuole: a Cagliari, come a Sassari, Porto Torres, Olbia. E c’è tanta attività organizzativa, con un’ottima impostazione agonistica di base. Io dico che è solo questione di tempo».

Ruberebbe uno sportivo da un’altra disciplina per mettergli una racchetta in mano?

«Direi di no. Quelli che abbiamo sono perfetti».

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