La Nuova Sardegna

L’intervista

Davide Bacciu: «A caccia pericoli sempre in agguato, vanno seguite regole ferree altrimenti si rischia la vita»

di Andrea Sini
Davide Bacciu: «A caccia pericoli sempre in agguato, vanno seguite regole ferree altrimenti si rischia la vita»

Il presidente di Federcaccia Sardegna sull’incidente di Sedilo: «Una tragedia che colpisce tutti»

02 novembre 2024
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Sassari «Prudenza e attenzione sono fondamentali quando si va a caccia, ma che quella venatoria sia un’attività potenzialmente pericolosa è evidente. Come lo sono, per esempio, i rally o le gare automobilistiche di velocità. Qui in più ci sono i fucili». La tragedia avvenuta nella campagne di Sedilo, dove ha perso la vita il cinquantenne oristanese Filippo Vidili, riporta drammaticamente d’attualità il tema della sicurezza, in particolare durante le battute di caccia grossa.

Davide Bacciu, presidente di Federcaccia Sardegna, prova a spiegare le dinamiche che ruotano attorno a un mondo che nella nostra isola conta tantissimi appassionati e una lunga tradizione.

Come avvengono incidenti di questo tipo?

«Non conosco i dettagli dell’incidente avvenuto venerdì a Sedilo e non sono in grado di entrare nello specifico – dice l’avvocato olbiese –. Sottolineo prima di tutto che quando succede qualcosa di così grave tutto il mondo della caccia si sente colpito. Siamo scossi e vicini ai familiari di questo nostro sfortunato collega. La caccia è di per sé un’attività potenzialmente pericolosa: i cacciatori imbracciano un’arma, ci si muove in campagna o su terreni particolari, si spara. Detto questo, noi predichiamo sicurezza, in particolare in questo tipo di battute, ma purtroppo a volta l’attenzione non basta, il pericolo è sempre dietro l’angolo».

Perché la caccia al cinghiale è più pericolosa rispetto agli altri tipi di attività venatoria?

«Per il tipo di arma che viene utilizzata, prima di tutto, perché per la caccia grossa si usano fucili con munizioni a palla asciutta. Sparare con un fucile a pallini è chiaramente meno pericoloso. E poi per le modalità con le quali ci si posiziona».

Come funziona il posizionamento dei cacciatori?

«Ogni squadra ha uno o più capocaccia: si tratta della persona o delle persone che posizionano le poste o indicano dove vanno messe, decidono la posizione dei cacciatori. Ma poi durante la battuta le dinamiche che si possono creare sono le più disparate».

Le persone che partecipano sono tutte esperte?

«Non necessariamente. Il ruolo del capocaccia è fondamentale anche per questo. Deve guidare il gruppo. Negli anni comunque sono state adottati vari accorgimenti per aumentare la sicurezza».

Per esempio?

«I giubbotti ad alta visibilità. Ma sono valide tutte le normali regole di prudenza dettate dal buon senso, oltre alle indicazioni impartite dal capocaccia. Tutto questo, ripeto, non consente di rendere assolutamente sicura un’attività che in sé racchiude dei rischi per chi le pratica. Come tante altre attività, come le corse in auto o in moto».

Perché ancora oggi si va a caccia?

«La battuta al cinghiale è una delle poche attività di aggregazione sociale rimaste in Sardegna, soprattutto nei piccoli centri. È una tradizione profondamente radicata nel tessuto sociale, che unisce e mette sullo stesso piano decine di persone di diversi livelli sociali: non importa il rango o il tuo mestiere, se sei uno dei componenti della squadra sei esattamente come gli altri. Non ci sono molte altre attività che portano a sedersi alla pari persone di estrazione completamente diversa».

Ma la caccia è uno sport?

«No. La caccia è ars venandi, è un’arte particolarmente sentita perché si tramanda e fa parte della nostra tradizione. Significa saper stare nella natura, tutti noi siamo piccole sentinelle all’interno delle campagne e dei boschi. Vediamo se c’è qualcosa che non va e abbiamo un ruolo che spesso non ci viene riconosciuto, ma che comunque svolgiamo: per esempio, nella battaglia alla peste suina siamo stati in prima fila, i campionamenti sono stati svolti proprio dai cacciatori».

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