Sassari Tra gli 8.600 progetti approvati e finanziati dal Pnrr c’è anche il “risanamento conservativo e recupero funzionale” dello “stazzo Giuanneddu” di Aggius: 148mila euro di fondi europei e nemmeno un centesimo di “altri finanziamenti pubblici”. E questo è solo un esempio della destinazione dei denari del Piano nazionale di ripresa e resilienza che doveva essere l’occasione per rilanciare l’economia del Vecchio Continente dopo la pandemia, puntando sullo sviluppo verde e digitale. Una declinazione che sfugge nell’ Avviso pubblico per la presentazione di proposte di intervento per il restauro e la valorizzazione del patrimonio architettonico e paesaggistico rurale voluto dal ministero dei Beni culturali, che nel 2022 aveva distribuito 590 milioni di euro alle 20 regioni italiane, destinando all’isola un fondo da 25 milioni.
I finanziamenti Il pacchetto totale da 750 miliardi di euro approvato come “Fondo europeo per la ripresa” è un compendio delle 6 missioni del Pnrr: per digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo sono stati destinati il 21,04% dei fondi; alla rivoluzione verde e transizione ecologica il 31,05%; alle infrastrutture per una mobilità sostenibile il 13,26%; per istruzione e ricerca il 16,13%; per inclusione e coesione il 10,37% e infine l’8,16% alla salute. Ritornando all’esempio in apertura, risulta difficile inquadrare in uno di questi sottosistemi il risanamento e il recupero di 13 stazzi che, sono inseriti nell’elenco delle opere finanziate nella missione “turismo e cultura” ma di cui spesso non esiste alcuna traccia, nemmeno online, se non con riferimento proprio all’iscrizione all’elenco dei progetti finanziati dal Pnrr. E come gli stazzi, nelle opere previste per la “tutela e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale” ci sono decine di ristrutturazioni di chiese, portali campestri e fabbricati agricoli. Progetti che in media pesano per 150/200 mila euro per ogni intervento.
Il debito Al netto della difficile inquadratura di alcuni degli 8mila progetti approvati e finanziati in Sardegna, c’è un altro problema. I finanziamenti del Pnrr non sono tutti prestiti a fondo perduto e dovranno dunque essere restituiti. L’Italia è al primo posto nell’elenco dei Paesi finanziati, 122,6 miliardi di euro (il “pacchetto” complessivo è in realtà di 191,5 miliardi, ma 68,9 sono a fondo perduto), ed è anche l’unico Stato, insieme alla Romania, in cui la componente dei prestiti supera il 50% e, nel Belpaese, si attesta al 64%, il valore più alto. Al momento, gli unici strumenti da cui è possibile ricavare un conto degli interessi è la legge di Bilancio del 2023 con il relativo aggiornamento del bilancio del ministero dell’Economia e delle Finanze, che nel capito 2226 prevede una spesa per gli interessi generati dai prestiti del Pnrr di 270 milioni di euro nel 2023, 500 milioni per l’anno successivo e 710 milioni di euro nel 2025. Il capitolo 2246, poi, mette in conto ulteriori 4 milioni di euro per ognuno dei tre anni. Per il resto della somma da restituire, le scadenze sono lontane. L’Italia dovrà iniziare a rendere i denari dal 2033, versando le quote nel capitolo 9508 dedicato al “Rimborso del capitale dei prestiti di cui alla Recovery and resiliency facility”. Dunque, quando si parla di fondi del Pnrr non si dovrebbe farlo a cuor leggero, soprattutto quando non sono destinati allo sviluppo digitale e alla transizione energetica. Per quanto anche le ristrutturazioni di chiesette, casolari, ovili, portali e stazzi abbianola loro valenza culturale e identitaria, sarebbero potuti scivolare nell’ordine delle priorità di un programma che mette in prima linea altri tipi d’intervento finanziati da fondi che, prima o poi, dovranno essere restituti con gli interessi. ( c.z.)