Energie rinnovabili, l'assessore Spanedda: «Obiettivo: chiudere le centrali a carbone»
L'esponente della giunta Todde parla della legge sulle aree idonee, di off shore, del futuro energetico della Sardegna
Cagliari Alla vigilia dell’udienza della Corte Costituzionale che si pronuncerà domani, 11 dicembre, sulla legge 5, la moratoria alle autorizzazioni approvata a luglio, e cancellata dalla nuova legge sulle aree idonee alle rinnovabili, parla Francesco Spanedda, assessore regionale all’urbanistica. Sino a pochi mesi fa Spanedda, 56 anni, era docente di architettura a Sassari. La sua tesi di laurea, relatore Vittorio Gregotti, era dedicata al parco eolico sul Monte Arci.
Assessore, cinque articoli, fitti di commi, di non facile lettura. Sembra una legge complicata e di difficile interpretazione.
«Secondo me la legge è semplice. Se la potessi riassumere, in una sola frase direi che se c’è la compresenza di elementi di idoneità e inidoneità in un sito prevale la non idoneità, a parte alcune eccezioni. Questo è il cuore della legge e dell’articolo 1, che regola cosa succede partendo da questo principio. L’articolo 2 è importante sul lato finanziario perché dà corpo a una “transizione democratica” consentendo di finanziare gli interventi di scala più minuta; il 3 introduce flessibilità sulle intese che permette alle popolazioni locali di ragionare sul proprio futuro, anche con le comunità energetiche».
Ma una norma che fissa principi e regole perché deve contenere anche elementi di flessibilità? Non è un controsenso?
«Se c’è un settore che cambia quasi ogni anno, in tecnologie e poi anche in stili di vita, questo è quello dell’energia. Impossibile bloccare questi due elementi al 2024. Invece è possibile, e lo abbiamo fatto, fissare due punti per il futuro: le fideiussioni che le società devono rilasciare per i lavori e l’obbligo del ripristino dei luoghi al fine vita degli impianti».
Cosa rispondete a chi vi accusa di aver proposto una legge troppo rigida o, viceversa, troppo permissiva?
«Il fatto che arrivino accuse opposte, mi fa capire che siamo rimasti nel giusto mezzo. Prevediamo impianti con ridotto consumo suolo, in siti infrastrutturati e su scala ridotta, con interventi non su centinaia di ettari ma su decine di ettari. Non vogliamo impianti di grande taglia, con pale oltre i 100 metri su suolo vergine, agricolo o turistico. Diamo risposte alle preoccupazioni della società non con emozioni, ma sulla verifica effettiva su quanto stava accadendo e sulle caratteristiche territorio isola. Molti punti come i parchi, le zone di protezione speciale, i siti di interesse comunitario, non li abbiamo inventati oggi. Ci sono da tempo e bisognava dare loro la dovuta dignità. La legge, come è normale, si adegua al suo territorio di riferimento».
Questa risposta va bene per coloro che ritengono la legge troppo rigida, al punto da impedire praticamente qualsiasi progetto. Andiamo all’altro estremo. È una legge troppo permissiva?
«No. Abbiamo un obiettivo ineluttabile: chiudere le centrali a carbone, realizzare la decarbonizzazione. La Sardegna è adesso una delle prime vittime del cambiamento climatico nel Mediterraneo: desertificazione, dissesto delle coste, diversa distribuzione delle precipitazioni non sono teoria, li stiamo vivendo. Abbiamo il dovere di lasciare un ambiente ospitale alle future generazioni, installando energia da fonti pulite negli spazi dove si può intervenire senza ulteriori problemi».
Ma è una legge “di reazione” a un allarme e a una domanda di tutela dal basso?
«Non proprio. Deriva da un obbligo del governo, è dentro a un quadro normativo robusto ed è un adempimento. Andava fatta, anche verificando evidenti storture nelle richieste. Quando i sindaci ci raccontano che arrivano progetti con relazioni ambientali e paesaggistiche relative ad altri siti, addirittura fuori dalla Sardegna, e alle loro osservazioni si sentono rispondere “ma è un dettaglio”, è chiaro che qualcosa non andava. Le proposte presentate, devono essere fatte bene. Molto bene. Poi si valutano».
La legge non prevede in pratica l’eolico di grandi dimensioni a terra. Perché? E sull’off-shore?
«Per le caratteristiche del nostro territorio, fatto di colline, non di grandi estensioni piane, l’eolico a terra di grandi dimensioni impatta troppo con il paesaggio. Per l’off-shore, abbiamo espresso parere negativo sulla proposta del governo. La pianificazione di un territorio non può finire sulla linea di costa».
Ora la parte più complessa: applicare la legge. Avete fatto ipotesi e valutazioni di massima?
«Intanto abbiamo oscurato il vecchio sito di Sardegna geoportale dedicato alle rinnovabili, perché diversi siti lo usavano come base per dire che il 99 per cento dell’isola non sarà mai idoneo».
Perché, non è vero?
«Certo che non è vero. Quella mappa non rispecchia i punti inseriti nella norma. Riportare a priori su una carta o con un numero regole e divieti che vanno adattati al territorio è quanto di più sbagliato».
Avrete pur fatto qualche simulazione, a grandi linee.
«Se realizzassimo con il fotovoltaico solo la copertura del 20 per cento tetti presenti nelle aree pip, avremmo 2 gigawatt di nuova potenza installata. Aggiungiamo il revamping dell’idroelettrico, l’uso dei lotto interclusi, l’agrivoltaico utile alle produzioni e all’energia a misura di impresa agricola, e arriviamo a livelli molto elevati. Daremo priorità ai terreni compromessi. Il primo obiettivo è evitare altro consumo del territorio, che va vissuto e usato per l’agricoltura, il turismo, l’impresa, senza limitazioni per il futuro. È un obiettivo ambizioso ma raggiungibile, con serietà e serenità».