La Nuova Sardegna

Sport

Serie A

Nicolas Viola: «Il Cagliari come una famiglia, ai tifosi prometto la salvezza»

di Roberto Muretto
Nicolas Viola: «Il Cagliari come una famiglia, ai tifosi prometto la salvezza»

Il fantasista rossoblù a tutto campo tra pallone, vita privata e passioni oltre lo sport

6 MINUTI DI LETTURA





Cagliari Piedi raffinati, visione di gioco, personalità, carattere aperto e grande capacità di relazionarsi con gli altri. Nicolas Viola, 35 anni, nel 2023 ha conseguito a Roma la laurea triennale in psicologia. È al Cagliari dalla stagione 2022-2023 e nonostante non sia più il ragazzino di belle speranze che faceva sognare i tifosi della Reggina, non ha nessuna intenzione di dire basta. Può giocare da seconda punta ma anche tra le linee quando è in possesso del pallone gli avversari fanno bene a preoccuparsi. Il suo piede educato gli consente di essere uno specialista sui calci da fermo. Ha il piglio del leader e l’umiltà di sapersi confrontare senza mai pensare di avere la verità in tasca.

Un uomo che sa farsi apprezzare e mette sempre al servizio della squadra le sue conoscenze. Il pallone è al momento la sua professione ma Nicolas è curioso, gli piace arricchire il proprio bagaglio culturale, essere informato. In questa intervista parla a 360 gradi, spaziando dal calcio, alla vita personale e le passioni, dimostrando una cultura di base profonda che lo aiuta moltissimo nella vita di tutti i giorni.

Il Cagliari in questo momento ha la classifica che merita?

«I punti che abbiamo sono tutti meritati ma penso che possiamo fare meglio. In alcune partite le prestazioni sono state ottime ma non abbiamo raccolto niente. Forse 3-4 punti in più ci potevano stare».

Che rapporto ha con mister Davide Nicola?

«Bello. Lui è una persona che ha dimostrato di avere valori umani e tecnici di spessore, uno dei pochissimi che accetta il confronto sano e di crescita personale. Parlarci è un piacere. Nel nostro spogliatoio si lascia da parte l'aspetto personale per l'obiettivo collettivo».

Quanti punti servono ancora per restare in serie A?

«Premesso che la nostra filosofia è pensare partita dopo partita, se guardo avanti credo che a 35-36 punti la salvezza sia sicura».

Giocherete tanti scontri diretti, saranno decisivi?

«Sono fondamentali perché hai la possibilità di togliere punti alle dirette concorrenti ma la squadra che ambisce a salvarsi prima possibile deve fare punti con le grandi».

Se dovesse dare una definizione della sua squadra che aggettivo userebbe?

«Rispondo equilibrata».

Lei è un calciatore dai piedi raffinati, si è ispirato a qualcuno?

«Studio i giocatori che rappresentano il calcio che mi piace. Da piccolo ero affascinato da Alvaro Recoba, Roberto Baggio, Fernando Redondo, calciatori eleganti, intelligenti, che sanno vedere il gioco prima degli altri».

Che cosa è il talento?

«Dovrebbe essere qualcosa con cui si nasce. Poi però il talento va allenato, coltivato, protetto e da solo non basta per raggiungere certi obiettivi».

L'allenatore col quale ha legato di più nella sua carriera?

«Ho avuto tecnici bravi come Gian Piero Gasperini, Claudio Ranieri, Marco Baroni. Ma Roberto De Zerbi mi ha fatto maturare e insegnato cose delle quali non ero a conoscenza. È stato il mister che è riuscito a farmi capire determinati aspetti, grazie a lui ho scoperto dinamiche calcistiche che non vedevo. Sono convinto che otterrà grandi risultati. In Premier League è molto apprezzato. Non mi sorprenderebbe assolutamente di rivederlo presto sulla panchina di una big italiana».

La sua soddisfazione sportiva più grande?

«Una è stata collettiva, la promozione in serie A col Cagliari, risultato di enorme aspetto emotivo. Ho scoperto cosa è Cagliari città e la Sardegna intera. Quella personale, invece, rimettermi in gioco in una posizione diversa in campo. Una sfida che ho accettato volentieri. Mettermi in discussione è da sempre l'emblema della mia vita».

Un episodio che non dimenticherà mai?

«Bari, stadio San Nicola, la vittoria all’ultimo secondo grazie al gol segnato da Pavoletti e la grande festa per il ritorno in serie A con la maglia rossoblù. Ho ancora negli occhi quelle immagini».

Ha una figura di riferimento?

«Ho persone che mi hanno aiutato. In ambito sportivo ammiro Michael Jordan e Cristiano Ronaldo perché il loro contributo ha cambiato le regole sportive. Fuori da questo contesto, sono affascinato da Van Gogh perché disegnava a livello inconscio e non fotografico, Dalì e Picasso hanno giocato con le regole dell'epoca e cambiato le regole del tempo. Hanno fatto tutto con leggerezza e passione. Se ci penso è meraviglioso».

C’è un amuleto da cui non si separa mai?

«I disegni dei miei bambini. Prima di partire in ritiro e sanno che per un po’ non possiamo vederci ma solo sentirci al telefono, loro li fanno me li danno e li porto sempre con me. Ogni tanto li guardo e mi commuovo».

Lo sportivo del cuore?

«Sono due: Roberto Baggio, un vero genio del pallone e Gigi Riva. Quest’ultimo non lo dico perché ora gioco in Sardegna, ma calciatori e dirigenti di spessore come è stato Gigi sono rari».

Quali sono i suoi svaghi?

«Ho una vita molto impegnata che spesso mi porta a stare lontano da casa. I miei due figli, Nicole e Mathias sono la priorità».

Ricorda la sua prima partita?

«Da ragazzo no. Con mio fratello siamo cresciuti insieme, condividevo con lui la maggior parte del tempo a giocare a calcio».

E il primo autografo firmato?

«Ero alla Reggina avevo appena 15 anni. Ho vinto un premio come miglior giocatore. Un signore a fine partita si avvicina e mi chiede l' autografo, l’ho guardato quasi incredulo, sono rimasto spiazzato».

Quanto tempo dedica ai social?

«Materia complessa. Ci sono pro e contro. Se una persona è mentalmente centrata sul suo obiettivo, rappresentano un'opportunità di crescita e visibilità. Se si affida ai social la vita reale ci sono scompensi troppo importanti. I social sono una finestra nell'ignoto che ti dà una mano se li sai usare, altrimenti sono pericolosi. E di esempi negativi, purtroppo, ce ne sono tanti».

C’è una cosa che non ha mai raccontato di se?

«È una bella domanda ma difficile dare una risposta perchè non saprei cosa dire. Le dico soltanto che sarebbe bello poter parlare di tutto e non solo di calcio».

C’è qualcosa che la spaventa in assoluto?

«Grazie alla psicanalisi le paure che avevo da bambino sono diventati punti di forza. Personalmente so cosa mi fa bene e cosa no. Affronto tutte le problematiche serenamente. Forse ho paura di ciò che non riesco a controllare».

Se la sente di promettere la salvezza ai tifosi?

«Assolutamente sì. L'obiettivo che abbiamo è questo. Non è facile e ne siamo consapevoli ma ci crediamo. Allo stesso tempo siamo convinti che alla fine manterremo la categoria. I tifosi ci aiuteranno, per noi rappresentano motivo di stimolo e di orgoglio. Ci seguono in tanti, anche in trasferta. Nello sport così come nella vita, avere fiducia nei propri mezzi rappresenta un valore aggiunto».

Primo piano
La tragedia

Omicidio di Bari Sardo, la mamma di Marco Mameli: «Dolore immenso e tanta rabbia, non smetteremo di cercare giustizia»

Le nostre iniziative