Dori Ghezzi: «Fabrizio e Gigi Riva erano simili, amavano la Sardegna e si sono fatti amare»
L’artista moglie di De André a Villacidro ha ricevuto il Premio Giuseppe Dessì
È nata in Brianza, cresciuta a Milano, si è legata a un genovese e insieme hanno scelto di venire a vivere in Sardegna. Da allora è passata mezza vita, la decisione di tornare nella penisola, Fabrizio che non c’è più, ma per Dori Ghezzi il legame con l’isola è più forte che mai, quasi indissolubile. E va proprio in questa direzione la scelta della Fondazione Giuseppe Dessì di attribuirle il premio speciale Fondazione di Sardegna. Un riconoscimento che le è stato conferito ieri a Villacidro in una serata che ha visto vincere Anita Likmeta nella sezione Narrativa e Ida Travi nella sezione Poesia. Un premio ricevuto da Dori Ghezzi per l’impegno della Fondazione De André nella diffusione e tutela del patrimonio artistico del grande Faber e «per ribadire e consolidare il legame con la Sardegna con orgoglio e con la gratitudine che si deve a chi ha saputo andare oltre gli “incidenti della felicità” per riconoscere in questa terra “un ritaglio di paradiso”».
Dori, che effetto fa leggere questa motivazione?
«Mi ritrovo in pieno in queste parole, sai?».
Il premio è intitolato a Giuseppe Dessì. Il suo rapporto con la letteratura sarda?
«Fabrizio era molto più attento, più curioso di me, approfondiva di più. Io ho sempre avuto il culto di Gramsci».
Tra i contemporanei?
«Salvatore Niffoi è un amico. E poi Flavio Soriga è pazzesco, mi diverte anche nel privato. È stata una fortuna incontrare queste due persone».
La sua prima volta nell’isola, oltre cinquant’anni fa a Tempio, molto prima dell’Agnata. Era un segno del destino?
«Era il periodo del “Casatschok”. Era Carnevale, c’era freddo, la neve. Era una festa al Giordo e io mi esibivo. Certo che mai avrei pensato che un giorno mi sarei trasferita qui...».
La scelta di venire a vivere in Sardegna fu pacifica o ci furono discussioni?
«Noi non volevamo vivere in città. Lui di Genova, io di Milano. Fabrizio voleva ritornare in campagna, amava la natura, gli animali. Voleva avere la possibilità di coltivare, allevare. Insomma, non una casa fuori città con giardinetto. Io condividevo la sua scelta. Sono milanese, ma durante la guerra sfollammo in Brianza. Mi faceva piacere il ritorno alla campagna, alla vita all’aperto. E poi quando sei innamorato fai qualsiasi cosa. Si è felici se la felicità è comune. Senza contare che lui in quel periodo aveva alcune problematiche anche di lavoro, di identità. Non era convinto di continuare come cantautore. Abbiamo capito che attraverso questa scelta avrebbe potuto trovare gli stimoli per andare avanti».
Se ripensa alla sua vita a Tempio cosa la viene in mente?
«Non era a Tempio, era la vita in mezzo a un bosco. A Tempio si andava come si raggiungono le città. All’inizio noi vivevamo senza luce, senza telefono. Se fai questa scelta devi crederci».
Dopo quello che nella motivazione viene definito “incidente della felicità”, ovvero il sequestro di persona, ha mai avuto voglia di lasciare la Sardegna?
«Mai, assolutamente. Al di là del fatto che è successo in Sardegna - poteva succedere altrove perché teste di cavolo ce ne sono dappertutto - e che non ci sarebbe potuto succedere una seconda volta, noi qui avevamo amicizie veramente forti e mai abbiamo pensato di colpevolizzare i sardi. Noi ci siamo comportati in un modo che ha fatto da deterrente a chi faceva queste cose. Il fatto di esserci costituiti parte civile, insomma, ci ha restituito qualcosa».
Da tanti anni ormai non vive più all’Agnata. La Sardegna continua a essere casa?
«Ormai l’Agnata continua a essere più casa degli altri che mia. Tanta gente ama andarci e quando vengono trovano Fabrizio, o anche me. Questo mi appaga, anche per le fatiche che faccio per sostenerla».
Il periodo più lungo senza venire in Sardegna?
«Ormai non riesco più a venire tutti gli inverni. Qualche volta a Natale. Non faccio programmi a lunga scadenza. È una vita che voglio andare in India, forse quest’anno sarà la volta buona. Ma non riesco mai a fare quello che vorrei».
Oltre l’Agnata c’è qualche luogo dell’isola che ama particolarmente?
«Il primo è ovviamente l’Agnata: sta nel cuore ad altri che non l’hanno vissuta, figuratevi a me. E poi ci sono luoghi in cui non sono mai stata che mi affascinano. Penso a Piscinas o al Gennargentu dove ci sono i fenicotteri, li ho visti solo a distanza senza mai essermi immersa. Per il resto la Sardegna l’ho vista davvero tutta. Ogni tanto ancora mi stupisco. Questa estate sulla strada tra Arbatax e Villasimius abbiamo costeggiato le montagne: sembrava il Grand Canyon. La Sardegna è sorprendente, è un continente a tutti gli effetti».
Lei ama l’isola e l’isola ama lei, tanto che insieme a Fabrizio e Gigi Riva, è uno di quei personaggi che i sardi considerano sardi. Non è da tutti, anzi è veramente da pochi.
«Dipende molto dal carattere delle persone. Gigi e Fabrizio sono simili. Hanno veramente amato la Sardegna e si sono fatti amare. Ancorché sportivo Gigi era un artista. Al di là del talento e della bravura quello che conta è la sincerità, l’autenticità. E questo la gente lo percepisce».