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Buon Gusto - Speciale zuppe

Fagioli, lardo, finocchietto e prezzemolo fanno rivivere le ricette di nonna Bainza

di Roberto Sanna
Fagioli, lardo, finocchietto e prezzemolo fanno rivivere le ricette di nonna Bainza

I consigli di Fausto Tavera, presidente della sezione di Sassari dell’Associazione italiana cuochi e titolare dell’Accademia culinaria del Coros

13 novembre 2024
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La zuppa che Fausto Tavera, presidente della sezione di Sassari dell’Associazione italiana cuochi e titolare dell’Accademia culinaria del Coros a Ittiri, serve in tavola, ha i sapori dell’autunno nei campi di Ittiri, suo paese d’origine ed è ispirata dalla cucina della nonna.

«Si chiamava Bainza Dore, era molto amica di un’altra donna, Pietruccia Careddu, che era la proprietaria dell’unico ristorante a quei tempi in attività a Ittiri. È stata lei che mi ha trasmesso la passione ed è sotto la sua supervisione che ho vissuto le mie prime esperienze dietro i fornelli – racconta –. Non ho imparato la tecnica direttamente da lei perché era già avanti con gli anni quando ho cominciato a cucinare, ma si metteva a fianco a me e controllava quello che facevo, assaggiava, dava pareri e suggerimenti. Nonna Bainza aveva maiali, galline, vacche, andava per i campi a cercare le erbe e metteva assieme nei suoi piatti quello che la stagione proponeva. Faceva anche dei dolci spettacolari, la sua specialità: formaggelle, tiricche, pardule, che regalava ai parenti in particolare a Pasqua, riempiva un canestro e si presentava con questo omaggio».

In autunno a Ittiri il sapore predominante è quello «dell’olio appena spremuto. Così la sua zuppa era fatta di un soffritto di olio, aglio appena raccolto, prezzemolo, pomodori secchi fatti in casa. Poi il lardo del maiale, appena preparato anche quello, fagioli e se qualcuno aveva particolarmente fame anche “su succu”, come da queste parti chiamiamo la fregula, rigorosamente preparata in casa», oppure le tagliatelle, anche quelle preparate da lei, tagliate a pezzi. Le dosi che Fausto Tavera propone sono per cinque persone: 400 grammi di fagioli del tipo “cara ‘e monza” (“la faccia della monaca”), ovvero quelli scuri con la macchia nera, 100 grammi di lardo, 30 grammi (due cucchiai circa) di olio evo fresco di spremitura, 50 grammi di pomodoro secco, uno spicchio di aglio poi finocchietto selvatico, alloro e prezzemolo fresco.

«Si comincia facendo rosolare per 5 minuti, poi si aggiunge l’acqua in una quantità doppia rispetto a quello che c’è nella pentola, che in pratica deve galleggiare. Poi si fa andare la cottura per almeno un’ora, anche un’ora e mezza, quindi si può aggiungere una dose abbondante di finocchietto selvatico, che nei nostri campi è facile da trovare, tagliuzzato bene, e si aggiusta col peperoncino. Un passaggio che raccomando per seguire la tradizione: peperoncino e non pepe perché da noi il pepe non esisteva, lo hanno portato i genovesi insieme alla fainè. Quindi si aggiusta di sale, si aggiunge il prezzemolo fresco e un’ultima ritocco con qualche goccia di olio a crudo».

La variante con la pasta è semplice: «Ultimata la zuppa, aggiungere un pugno di “succu”, al massimo 100 grammi, e la facciamo cuocere per 5 minuti massimo. Poi si chiude tutto e si fa riposare per un quarto d’ora. I 5 minuti di cottura della pasta non devono essere superati perché, raccomandava mia nonna, doveva essere mantenuto il giusto equilibrio dei sapori».

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