La Nuova Sardegna

L’intervista

Paolo Angeli: «Adesso mischio l’avanguardia con il canto a tenore di Orgosolo»

di Paolo Ardovino
Paolo Angeli: «Adesso mischio l’avanguardia con il canto a tenore di Orgosolo»

La sua Valencia, la Sardegna, il Mediterraneo: il musicista sarà in concerto a Lodine il 6 dicembre

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Da solista l’ultimo album è “Nijar” (2023), un'ideale colonna sonora per Federico García Lorca. Poi una mini tournée negli Stati Uniti e tra le sponde mediterranee della sua Valencia e della sua Palau. Per Paolo Angeli «ogni concerto è diverso, inizio raccontando un po' di me e avverto: sarà una lunga suite». Un'ora e più senza pause, «smantello lo schema facile brano-applauso-altro brano». Questo significa lanciare una sfida: «Il pubblico rimane spiazzato, è abituato a una fruizione accomodante. So di costringere a fare un viaggio con me che non per forza è morbido. Può turbare. Per me, ora, suonare ha una funzione catartica».

Angeli, adesso dove si trova?

«A Valencia, dopo tanto tempo. Mancavo da prima della Dana (l’alluvione di fine ottobre dove sono morte più di 200 persone, ndr). Ma tra qualche giorno scendo in Sardegna poi vado a Brest, in Francia».

Che clima c’è a Valencia?

«La gente è molto arrabbiata, ci sono zone con abitanti ancora isolati. La ripresa è lentissima. Ho partecipato a manifestazioni in tal senso, la comunità vede che non c’è ancora un’evoluzione dalla situazione d’emergenza e fa tristezza, questa ferita aperta la avverti ovunque».

Palau, poi Bologna, poi Barcellona, adesso ancora in Spagna: vivere lì come influenza la sua musica?

«In generale è un luogo magico, Valencia è la terza città spagnola eppure riesce a vivere con dinamiche da paese. Qui c’è una società molto inclusiva e allo stesso tempo fatta di diversità culturali. Accoglie musicisti di tutto il mondo. E poi sei a due ore sia da Madrid che da Barcellona, in questo crocevia apprezzi la scena andalusa, della Galizia, della capitale, quella catalana, hai percezione della pluralità».

Da poco ha suonato al museo archeologico di Madrid con un concerto tematico che partiva proprio dalla mostra ospitata con la scultura del pugilatore Manneddu, proveniente da Mont'e Prama. Com’è stato?

«Profonda emozione. Se dovessi identificare le mie tre grandi passioni, con la musica in testa, poi direi mare e archeologia, intesa come ricerca sui cambiamenti di cui l'uomo lascia traccia. Nel mondo esistono solo realtà dinamiche e capacità di un popolo di assorbire dalle culture con cui si confronta. Vivere nella penisola iberica da vent’anni ed esprimere in concerto la relazione con la mia terra è stato un riconoscimento importante per me. Da un lato c’è la percezione di dialogare con una delle pagine belle del popolo che si è autodeterminato in età nuragica. Dall'altro, un'accoglienza straordinaria e di grande curiosità, per noi Sembrano cose scontate. Ho pescato dal mio repertorio unendo la tradizione sarda. Poi con il “Miserere di Castelsardo” ho omaggiato le vittime della Dana».

Il 6 dicembre invece è in scena a Lodine al “Sonàla folk” con il tenore Murales di Orgosolo, com’è nata l’idea?

«Grazie ad Antonio Are, grande cantore di Bolotana, nei primi anni ’90 mi sono innamorato del canto a tenore. Da gallurese, non mi apparteneva. Come un nuraghe, una scultura di Nivola, è qualcosa di perfetto e autosufficiente e non pensavo di poterci fare qualcosa. Dal tenore mi hanno detto “sei troppo rispettoso”, e allora ci ho provato. Abbiamo lavorato su una drammaturgia che racconta storie dell’isola del ’900, la lotta di Pratobello, il concetto di Mediterraneo, il senso di abbandono di chi lascia la terra e non idealizza per forza i confini ma riesce a trasportare la Sardegna nella modernità. Sarà una lunga suite tra avanguardia e tradizione».

Metterà tutto questo anche in studio?

«Vogliamo produrre un album insieme. Ma sto lavorando in più direzioni: ho cominciato una collaborazione con Redi Hasa, violoncellista che suona con Einaudi, riprenderò a suonare con Antonello Salis. Ho conosciuto un liutaio sardo, Andrea Orrù, con cui stiamo trasformando ancora la chitarra sarda preparata. A 54 anni dovrebbe essere il periodo della maturità ma sento una voluta destabilizzazione. E con un’idea di Mediterraneo che unisce, dove non ci si scontra».

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