La Nuova Sardegna

La recensione

«Cosima e Damiana? No, solo Grazia»: i tanti falsi storici sul premio Nobel

di Alessandro Marongiu
«Cosima e Damiana? No, solo Grazia»: i tanti falsi storici sul premio Nobel

“Cuore indomabile” di Laura Vallieri: ben venga l’attenzione sulla scrittrice ma non può continuare a essere questo il modo

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Tra le nostre prime recensioni dell’anno che volge al termine, ce n’era stata una su un romanzo con protagonista Grazia Deledda: a chiudere idealmente il 2024 sotto il medesimo segno, ci occupiamo di “Grazia Deledda. Cuore indomabile” di Laura Vallieri (Edizioni Ares, 232 pagine, 16 euro). Il quale, dopo l’introduzione, comincia parola per parola come di seguito riportiamo: «“È nato un bambino di sesso femminile” è il 28 settembre 1871 e all’anagrafe di Nuoro viene trascritta così la nascita di Grazia Maria Cosima Damiana Deledda».

Comincia, cioè, malissimo: perché riproduce una delle innumerevoli notizie sbagliate che circolano sul conto della povera nuorese, che davvero non si sa cosa abbia fatto di male per meritarsi da tre decenni in qua un simile trattamento. Alla Deledda era stato dato infatti un unico nome, Grazia. Ci si potrà chiedere e in maniera legittima: chi ce lo dice? Chi ce lo assicura? Proprio l’anagrafe di Nuoro (se la si consultasse, certo). Per chi non si potesse recare in loco, arriva in soccorso internet (se non si assume come fonte primaria Wikipedia): in rete l’atto di registrazione della nascita si trova agevolmente e si trova pure l’atto di battesimo. Ulteriori conferme ce le danno il passaporto rilasciatole per andare a ritirare il Nobel e il diploma stesso ricevuto in Svezia, documenti che conosciamo almeno dal 1987. Insomma, ogni sorta di carta ufficiale. Ci si potrà chiedere, adesso: non si può commettere un errore? E ci mancherebbe altro.

Qui, però, non è più questione di evidenziarne uno, ma di denunciare l’errore fatto a sistema. Tanto nel libro di Laura Vallieri quanto nella selva di pubblicazioni sulla Deledda che da metà anni ’90, a partire da “Ritratti di signora” di Elisabetta Rasy, trabocca errori dagli scaffali delle librerie e delle biblioteche. Restando al libro presente, sono sbagliati tra gli altri: nomi di parenti, età relative a specifici episodi della biografia, circostanze professionali («Il grande successo di pubblico la sostenne e la incoraggiò, allargando il consenso agli editori europei che spesso tradussero i suoi romanzi prima ancora che questi fossero stati pubblicati in Italia»: e «spesso» non fu assolutamente), titoli di opere («Il libro cambiò editore e fu pubblicato nel 1911 da Quattrini a Firenze con titolo “Giustino Roccella nato Boggiolo”»: che invece vide la luce nel 1941, nel 1911 essendo semmai uscito “Suo marito”).

Potremmo continuare a lungo, segnalando magari anche le mezze informazioni (sulla Deledda e il Fascismo, ad esempio), la solita aneddotica di quinta o sesta mano (sulla Deledda e Mussolini, ad esempio), i luoghi comuni («Basta un solo viaggio in Sardegna, per sentire la natura parlare, il dialogo muto delle cose»): ma si sarà capita la parabola. Ora: ben venga l’attenzione sulla Deledda, siamo i primi a rallegrarcene e del resto i libri da scrivere su di lei sono infinitamente più delle decine e decine che sono già stati scritti. Semplicemente, non può, non deve, continuare a essere questo il modo.

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