Frittelle lunghe, cambia il nome non il sapore: una passione che unisce l’isola
Vengono chiamate in modo diverso a seconda della zona ma la ricetta è uguale. Nel Sassarese si aggiunge l’anice, a Oristano la vernaccia
Poche cose riescono a mettere d’accordo le diverse tradizioni territoriali della Sardegna su questo argomento, e tutte hanno a che fare con le mani. Chi custodisce la ricetta da generazioni lo sa bene: l’impasto deve essere lavorato rigorosamente a mano, perché solo così lievita correttamente e ottiene la giusta consistenza, fluida al punto giusto. Anche nella fase di preparazione, la mano deve essere ferma. Con il mestolo si versa l’impasto attraverso un imbuto, tagliato alla base nella giusta misura: né troppo vicino all’imboccatura, né troppo distante. Ma la vera abilità sta nel governare il flusso dell’impasto. Il movimento deve essere calibrato con precisione: non troppo veloce, per evitare accumuli di impasto nell’olio, né troppo lento, per non creare interruzioni nella serpentina che sta prendendo forma.
Qui entra in gioco il polso, che deve compiere una danza fluida di movimenti circolari, misurati e regolari, come la tradizione e l’arte culinaria impongono. Solo così l’impasto cadrà nell’olio bollente nel modo giusto: senza schizzi, senza grumi e, soprattutto, senza mai incrociare quello che già frigge. Poi arriva il momento della girata, quel tocco finale che dona la doratura uniforme e la croccantezza perfetta. Basta un solo movimento, deciso ma delicato, per completare la cottura di quella lunga serpentina dorata che, con ogni probabilità, affonda le sue radici nella cultura araba. Alcuni, però, ne fanno risalire l’origine ancora più indietro nel tempo, fino all’epoca romana. E che di certo la Sardegna condivide con tante altre culture mediterranee, ma che in diversi luoghi dell’isola cambia nome e sfumature di sapore, restando sempre il dolce simbolo di Carnevale. Le frittelle lunghe che uniscono e dividono: zippulas o tzipulas nel Centro-Sud Sardegna, frisciolas a Bosa e perfino ad Alghero note con il nome di bryniols, non sono assolutamente da confondere con le zippole tonde e piccole, tipiche del Sud dell’isola, hanno un impasto più denso e prevedono come variante l’introduzione della patata lessa in ricetta.
Chiamate indifferentemente al maschile o al femminile, li frisgiori longhi o sas frigjolas, nel Sassarese o frisjoli longhi in Gallura, dal nord si rivendica il patentino di autenticità, cui l’Oristanese fa degna opposizione con la sua regina de sa scivedda, il contenitore di terracotta dentro al quale si mescolano gli ingredienti, sas zippuas. Chiudono il cerchio del toto-nomi le cattas della zona del Logudoro e della Barbagia, e la più comune frittura araba di Cagliari. Al netto degli ingredienti base farina, latte, zucchero, lievito, scorza e succo d’arancia per la forma a spirale, la spirale mangiata appena fritta è una delizia, soprattutto appena fatta nei giorni di festa nelle piazze della Sardegna, appena scolate e intinte nello zucchero semolato. Ma c’è chi non le disdegna anche fredde, a patto che la consistenza si rimasta morbida, come appena tolta dal paiolo. È difficile realizzarlo, ma il segreto per arrivarci potrebbe nascondersi proprio nel tocco alcolico: il goccio è infatti d’obbligo e ci vorrebbe l’anice, pare, per apprezzare al meglio la ricetta “originale”. Nel Sassarese dicono che vada bene, oltre al tipico anice, anche il moscato, come quello di Sorso, nell’impasto o come accompagnamento. A Oristano, ovviamente, non c’è alternativa che tenga: le zippole si fanno con la vernaccia, al massimo l’abbardente – l’acquavite – nell’impasto, ma il bicchierino per il brindisi in accompagnamento non deve mancare, alla salute di Su Componidori e della Sartiglia.